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 2014  maggio 07 Mercoledì calendario

IL SERIAL-KILLER DEL CROCIFISSO SULLE ORME DEL MOSTRO DI FIRENZE


Verrebbe da pensare che la serie di delitti sia stata scritta, prima ancora che perpetrata. Tanti sono gli elementi sovraccarichi di significato nel nuovo giallo di Firenze. Talmente numerosi che alla fine tutti quanti (tutori dell’ordine, media, pubblico a lungo indifferente) han dovuto farsene carico e alzare la soglia di attenzione. Che altro doveva fare il colpevole, o i colpevoli come ci ha insegnato a sospettare la vicenda dei compagni di merende di Pietro Pacciani? Una donna, rumena, prostituta, violentata con una sbarra e uccisa in posizione da crocifissione sotto un cavalcavia nei sobborghi di Firenze è il limite. Ciascuno degli elementi della frase precedente ha carattere al contempo significativo e accusatorio.
Per primo: il cavalcavia. Tra gli abitanti della zona intervistati dopo il ritrovamento del cadavere uno dice: «Qui era un paradiso, poi è arrivata l’autostrada». È tanto spaventosamente cliché quanto è vero. La modernità non porta diavolerie, ma diavoli. Perché si insedia senza rispetto, neppure per se stessa. Fai passare l’A1 su un vallone, metti i pilastri, getti l’asfalto e te ne vai. Non ti preoccupi di aver creato una zona oscura. Le zone oscure sono una minaccia, che siano dentro o fuori di noi. Guardate le foto del cavalcavia: è una nicchia protetta dove ogni cosa può accadere al riparo. Dagli sguardi, dai lampioni e dai lampeggianti. Nella più innocente delle ipotesi ci vanno i ragazzini a fumare le prime sigarette, nella più feroce ci crocifiggono una donna. Le scritte sui piloni «Cami ti amo», «Qua si carica le troie», «Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio », i simboli di estrema destra, le sigle ultrà, i rifiuti, gli avanzi di atti consumati nel buio, tutto parla di una “zona franca”, extraterritoriale, uno dei tanti “sotto luoghi” dove lo Stato vede un confine che non c’è e decide di non entrare. Una valvola di sfogo, viene da mal pensare, dove i comportamenti criminali son perseguiti, ma sulla carta straccia. Si resta increduli ascoltando gli abitanti della zona che raccontano come un fatto usuale: «Ogni tanto, di notte, suonava una donna con i vestiti strappati, insanguinata e diceva che era stata violentata. Per lo più prostitute. Qualcuna non voleva fare denuncia ». Accadeva da tempo, c’era un’indagine, un fascicolo aperto (dicono ora) da dieci anni. Ma non un pattugliamento costante del cavalcavia, non una telecamera fissa, non un’inferriata che impedisse l’accesso alla zona oscura sotto l’autostrada. Perché? Il secondo elemento, le vittime: prostitute, straniere. Non è una categoria che provoca allarme sociale, né interesse mediatico. Non ha generato ronde né titoli ai tg della sera. Finora la sequenza dei delitti era un giallo di serie B, come la maggioranza di quelli commessi da serial killer in una letteratura e cinematografia stucchevole. Il colpevole (o i colpevoli) si sforza di farsi notare usando modalità ripetute che spalancano ordinari abissi psicologici (la violenza per mezzo di uno strumento), seminando indizi ossessivi (l’uso dello stesso nastro adesivo, in dotazione a una struttura sanitaria), agendo in luoghi suggestivi (in alternativa al cavalcavia, un prato su cui aveva già operato il mostro di Firenze). E Firenze. Non bastava già Firenze a eccitare per un riflesso pavloviano l’attenzione generale? Mancava l’omicidio. Le altre donne erano state lasciate in vita. E occorreva questa modalità atroce: qualcosa di simile a una crocifissione, come quelle da poco avvenute in Siria che hanno fatto piangere papa Francesco.
Adesso ci siamo. Adesso possiamo andare a prendere le torce, radunare tutti i padri di famiglia del quartiere, farci scortare dallo sceriffo. I fotografi dal parapetto scatteranno lampi nella notte, illuminando la zona oscura mentre i guardiani finalmente oltrepassano il confine che non c’era e rovistano in quella pattumiera dove ora non ci sono soltanto resti e indizi di malavita, ma anche di malamorte. È spaventosamente cliché quanto vero anche dire: questa è stata una morte annunciata. Nei modi, nei tempi, ma soprattutto nel luogo.

Gabriele Romagnoli, la Repubblica 7/5/2014