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 2014  maggio 06 Martedì calendario

CALTAGIRONE SEMBRA CHE SIA DIVENTATO IL VERO SINDACO DI ROMA MENTRE QUELLO ELETTO, MARINO, ASSOMIGLIA A UN SUO OSSEQUIOSO VICE

Con due mosse di sapore clientelare il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha salvato, per ora, la sua poltrona, ma non la faccia. Anzi, con una terza mossa, la stangata fiscale con cui ha colpito le famiglie e le imprese della Capitale, ha fatto dei contribuenti romani i più tartassati d’Italia: in media, 918 euro tra addizionale Irpef, Tari e Tasi, contro i 478 del resto d’Italia. Un record odioso, per cui il sindaco Marino viene contestato perfino da larghi settori della sua parte politica (il Pd), con i sindacati dei 24 mila dipendenti comunali pronti a uno sciopero generale. Ma andiamo con ordine.
Prima mossa: nei giorni scorsi, Marino ha incontrato il costruttore Francesco Gaetano Caltagirone, che finora l’aveva criticato duramente, in perfetta sintonia con il Messaggero, quotidiano di sua proprietà, il più diffuso nella capitale. Per capire come sia andato l’incontro, è bastato leggere l’intervista che il sindaco ha concesso domenica 4 maggio alle pagine romane del Corriere della sera, fitta di elogi per il costruttore: «Nei nostri dialoghi ho scoperto una persona con una storia da rispettare sia per l’impegno lavorativo da quand’era ragazzo, sia perché è determinato, rigoroso». Più avanti: «Dopo Acea e Metro C, visto che ora c’è dialogo, vorrei coinvolgerlo in un importante progetto culturale, filantropicamente parlando». In attesa di fare il filantropo, Caltagirone non ha perso l’occasione per continuare a fare ciò che gli è sempre riuscito meglio: gli affari. La conferma è arrivata a stretto giro di posta con le prime indicazioni del Comune sul rinnovo del vertice dell’Acea, la municipalizzata quotata in Borsa (elettricità, gas, acqua) di cui Caltagirone è il primo azionista privato con il 16,4% (il Comune ha il 51%, la francese Gdf-Suez il 12,5%, il resto sul mercato).
A sorpresa, Marino ha deciso di sostituire sia il presidente Giancarlo Cremonesi che l’amministratore delegato Paolo Gallo, e ha indicato l’avvocato Paola Severino, ex ministro della Giustizia, per il ruolo di presidente, sia pure in una rosa di cinque nomi. Una scelta che ha suggellato la pace tra il sindaco e Caltagirone, in quanto la Severino è da sempre l’avvocato di fiducia del costruttore romano, un legame consolidato anche sul piano familiare se si considera che Paolo Di Benedetto, marito della Severino, è stato finora uno dei due consiglieri d’amministrazione di Acea in quota Caltagirone. Non solo. Marino ha fatto sapere che, in settimana, si incontrerà di nuovo con l’editore del Messaggero «per illustrargli le proprie posizioni» sul rinnovo dell’intero cda di Acea, che il sindaco vorrebbe fare dimettere al completo in anticipo, mandando così a casa anche i tre consiglieri nominati dalla precedente giunta di Gianni Alemanno. E dalle poltrone, il «dialogo» potrebbe estendersi alle quote azionarie, visto che da anni Caltagirone non fa mistero di volere la privatizzazione dell’Acea: in gioco potrebbe esserci la cessione di un altro 21 per cento della quota detenuta dal Campidoglio, valutata in passato 550 milioni di euro, soldi che alle stremate casse del Comune farebbero assai comodo.
Insomma, per Caltagirone sembrano tornati i bei tempi, quando, in Campidoglio, non si muoveva foglia senza il suo consenso, una stagione durata circa 20 anni che ha visto la governance della capitale, sia di sinistra che di destra, quasi sempre subordinata ai desiderata dei grandi costruttori. E Marino, che era partito lancia in resta per rovesciare il vecchio andazzo, dopo avere scoperto che le finanze comunali sono un buco senza fondo, e dovendo scegliere tra la coerenza e la sopravvivenza, dopo appena un anno di mandato ha scelto di sopravvivere. Anche a costo di sembrare un esecutore più che un decisore, un vice ossequioso più che un sindaco plenipotenziario eletto dal popolo.
Allo stesso spirito di sopravvivenza sembra ispirata anche una seconda mossa: sostituire l’amministratore delegato dell’Acea, Paolo Gallo, con Alberto Irace, responsabile dell’area idrica dell’azienda, nonché amministratore delegato di Publiacqua, società affidataria del servizio idrico di Firenze e di altre città toscane. Una scelta che si spiega soltanto con il desiderio di Marino di stabilire un solido rapporto politico con l’ambiente dell’ex sindaco di Firenze e oggi premier, Matteo Renzi, che, tra i suoi primi atti di governo, ha varato il decreto Salva Roma, salvando così anche la poltrona dello stesso Marino. I fatti: Irace, che in passato è stato vicesindaco Pds di Castellammare di Stabia, è un renziano dichiarato. Non solo. Come ad di Publiacqua ha avuto modo di conoscere Maria Elena Boschi, quando l’attuale ministro per le Riforme (renziana doc) muoveva i primi passi in politica e diventò consigliere d’amministrazione della società idrica toscana. Un rapporto così solido che, secondo alcune indiscrezioni, avrebbe spinto la Boschi ad accompagnare di persona Irace al primo colloquio con Marino. E il sindaco ne avrebbe tratto le immediate conseguenze per il vertice Acea, anche se non tutti gli ostacoli sembrano superati.
Il manager renziano non si è mai laureato (Irace è diplomato in un istituto tecnico di Castellammare e possiede un diploma in management di una scuola del Wisconsin), e questo potrebbe diventare quanto meno un ostacolo sul piano dell’immagine. Ipotesi che in Campidoglio ha spinto molti a ricordare un precedente poco felice, quando Marino scelse un ufficiale dei carabinieri con tre lauree per il comando dei vigili urbani, che però fu costretto a dimettersi dall’Avvocatura, in quanto non aveva «sufficienti requisiti al comando». Una figuraccia. Ma ora che Caltagirone e Renzi gli fanno da scudo, Marino si sente più sicuro, e può perfino tartassare i romani. Sì, purtroppo anche Roma «cambia verso».