Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 6/5/2014, 6 maggio 2014
BOOM SPREAD, FU CREATO APPOSTA
[Intervista a Giulio Tremonti] –
Giulio Tremonti non molla. Più si parla d’Europa, come accade inevitabilmente in questi giorni che ci dividono dal voto, più il professore insiste sulle ragioni della crisi dei debiti sovrani e sulla soluzione per uscirne che per lui si chiama eurobond. Ma la conversazione, con lui, tocca anche e inevitabilmente la politica italiana di cui è stato a lungo protagonista, specialmente nel drammatico finale del governo di Silvio Berlusconi nel 2011.
Domanda.
Professore, a meno di un mese dal voto, si sente parlare molto, a volte sproloquiare, d’Europa. Lei, che negli ultimi anni se n’è occupato molto, con la politica attiva e anche coi suoi libri, come la vede?
Risposta. L’antica, mitica idea dell’Europa, un’idea che si fa «politica» fra le due guerre, incorporando suggestioni di varia fonte, liberali od autoritarie, anche idee double face, come l’idea della «Paneuropa». L’idea politica dell’Europa emerge infine con forza nel dopoguerra, dal Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, fino alla straordinaria conferenza, detta ad Atene nel 1955, da Albert Camus.
D. Poi l’idea politica si fa economica?
R. È così col metodo di Jean Monnet: «Federate i loro cuori e federerete i loro portafogli», diceva. Ma è solo con l’euro, che l’idea, prima politica poi economica dell’Europa, si fa assolutamente monetaria. È con l’euro che l’Europa si fa finanza e la finanza si fa moneta, integrando una sineddoche, ovvero una parte per il tutto. E ciò è stato possibile nel vacuum della politica. I popoli ormai identificano l’idea d’Europa con l’euro ed oggi identificano l’euro con la crisi. È per questo che per capire quello che sta succedendo bisogna fare la storia dell’euro.
D. E che storia è, professore?
R. Guardi, non conosco niente di più europeo di Goethe e niente di più goethiano del Faust, la storia di Mefistofele e della sua cambiale, la storia della trasformazione del reale in virtuale, la storia dello scambio tra la ricchezza che esiste in natura, l’oro sepolto sottoterra, e la ricchezza che esiste solo per convenzione, appunto la cambiale mefistofelica. È l’antica profezia dei «biglietti alati» che «voleranno tanto in alto che la fantasia per quanto si sforzi non li raggiunge». Per capire cosa è stato ed è l’euro, seguiamo appunto il volo dei biglietti alati, un volo che ad un certo punto si è quasi spezzato con la crisi.
D. Crisi che lei ha rappresentato, fin dall’inizio, usando l’immagine del videogame con la sequenza di mostri...
R. Arriva il primo mostro e lo abbatti ma, mentre sei lì che ti rilassi, ne arriva un altro più grande del primo.
D. Il primo, è quello del 2008...
R. Ed è arrivato in Europa dall’America, con la crisi dei mutui subprime. Ha investito le banche del Nord Europa, dall’Inghilterra all’Olanda, dalla Francia alla Germania. Banche che facevano una grossa e grassa parte dei loro bilanci, proprio con i rendimenti drogati che ricevevano dai titoli tossici. Oggi l’evidenza è che da quelle parti, ed in specie dentro la «Core Europe», una serie molto ampia e lunga di banche è stata nazionalizzata. Limpegno dei bilanci pubblici per i salvataggi bancari è oggi calcolabile più o meno pari a 800 miliardi di euro, dato questo che ci è appena stato riferito dalla Commissione europea. Miliardi investiti direttamente nella forma di garanzie. Gli interventi di salvataggio sono stati vastissimi nella «Core Europe» non sono stati necessari in Italia.
D. Ce ne ricordiamo. E il secondo mostro?
R. È arrivato con la crisi «sovrana» di Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Islanda. E questo ci porta direttamente alla storia dell’euro. L’euro, creato nei laboratori più «illuminati» ha preso forma e avvio con un volo di «biglietti alati», un volo che si è sviluppato in un’atmosfera di non controllata euforia.
D. Ma non c’era la Banca centrale europea?
R. Alla Bce, è vero, non spettava la vigilanza sulle singole banche nazionali ma la Bce aveva competenza istituzionale e fondamentale per la stabilità sistemica dell’euro. È questa che è totalmente mancata. Da quando nel 2001 ho iniziato la mia esperienza nell’Eurogruppo, non ho memoria di interventi, anche solo come monito, come caveat, sulla finanza privata. E non solo questi sono mancati nel chiuso dell’Eurogruppo. All’esterno non c’è traccia di interventi o comunicazioni pubblici fatti dalla Bce sulla particolare materia.
D. Una Bce passiva, insomma...
R. La Bce stava alla finestra, con il fucile puntato sui bilanci pubblici, e non si accorgeva che la crisi veniva alle sue spalle ma proprio dalla porta che doveva vigilare, dalla finanza privata, dall’eccesso dei crediti e dei debiti privati. La finanza privata, i migliori indirizzi della «haute banque», da Francoforte a Parigi, agivano indisturbati, facendo scorrere fiumi di liquidità dove i rendimenti erano più elevati, è così che in Grecia sono state finanziate le Olimpiadi, le piscine, le Mercedes. È così che la Spagna è stata cementificata per edificare il sogno del posto al sole, il progetto non solo della seconda casa, ma anche della seconda vita, per i popoli del Nord. E poi il Portogallo, naturalmente, e l’Irlanda, trasformata in una portaerei per banche off shore.
D. Tutto sembrava andar bene, fino a un certo punto. Anzi, quasi a gonfie vele...
R. Tutto bene fino a che, appunto, non è arrivato il secondo mostro: la crisi «sovrana». Per capire cosa è successo vanno considerati due dati essenziali. Il primo: se fallisce il debitore, fallisce anche il creditore. Il secondo: le perdite non si fermano sui confini nazionali, ma arrivano per effetto di controparte direttamente nei bilanci dei creditori, anche se questi stanno in Germania, in Francia, ecc. E questo è stato su di una scala quantificabile in termini di centinaia e centinaia di miliardi.
D. Cosa vuol dire, professore?
R. Voglio dire che nel rapporto tra le banche della «Core Europe» e la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda, si è prima accumulata e poi esplosa la variante europea dei «subprime». Non solo l’Europa ha importato all’inizio i «subprime» americani, ma poi se li è anche fabbricati in proprio. Quello che cerco di dire è che, via via che passa il tempo, è sempre più evidente come la crisi dell’euro non sia stata prodotta da un’oscura, imperscrutabile maledizione ma da una devastante serie di illusioni, di omissioni e di errori.
D. E noi, professore? L’Italia? Il sistema finanziario italiano?
R. Verso la Grecia per esempio, il sistema finanziario-bancario italiano era esposto a rischio per 20 miliardi, lo stesso rapporto c’era più o meno verso la Spagna, Portogallo e Irlanda. È questa la storia e l’origine della crisi dell’euro. Ciò che voglio dire è che all’origine della crisi, non c’è stata l’Italia ma gli altri, ossia non sono state la Germania e la Francia a salvarci ma sono state loro a salvarsi anche con i nostri soldi.
D. Dichiarazione tranchant. Facciamo un esempio?
R. Un caso per tutti: a oggi gli interventi fatti dall’Europa per «salvare la Grecia» sono più o meno pari a 200 miliardi, qualcuno sostiene anche 300. Se questi soldi fossero andati direttamente alla Grecia, oggi, ognuno dei i 11,28 milioni di greci invece di impoverirsi con la crisi, avrebbe ricevuto un dono pari a molte migliaia di euro a testa. In realtà i Greci si sono immiseriti e i soldi sono passati dalla Grecia ma solo per tornare indietro a salvare, non Atene, ma le banche creditrici. E un giro-soldi simile lo trova nel rapporto tra l’Europa e gli altri Paesi in crisi.
D. Lettura pesante...
R. È così. Si è mai chiesto perché per la prima volta nella storia gli Inglesi «salvano» gli Irlandesi?
D. Insomma, l’idea che l’Europa entra in crisi con la crisi «sovrana»?
R. Per la verità, è con questa che si manifesta il confronto tra due idee politiche dell’Europa. La prima idea è quella che prende forma nel consiglio Eurogruppo-Ecofin, del maggio 2010. La seconda idea è quella che prende forma, nell’ottobre dello stesso anno, con la passeggiata di Deauville, tra Nicolas Sarkozy e Angela Merkel
D. Quali le differenze?
R. La prima di idea, quella di maggio, era basata su di una profonda riflessione politica: l’Europa deve prendere atto della fine reale dell’età coloniale, l’Europa non può produrre più deficit pubblici che prodotto interno lordo, l’Europa ha il 5% della popolazione mondiale, il 25% della produzione ma anche il 50% del «welfare state» a debito. Un assetto insostenibile. Non solo, la nuova struttura del mondo, prende ormai forma nel confronto tra masse continentali. Come Europa non possiamo più continuare con 27-28 politiche economiche diverse. Ed è per tutto questo che si concorda sulla formula politica unitaria della serietà sopra, ma anche della solidarietà sotto.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 6/5/2014