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 2014  maggio 06 Martedì calendario

LA GIOSTRA DI CONTE IL PASSO BREVISSIMO TRA LA GLORIA E L’INFAMIA


Tu stai in un albergo a Leinì, mica ai Caraibi, indossi una maglietta nera che è la divisa scolastica dell’insubordinazione, dall’altra parte d’Italia segna un calciatore argentino che gioca nel Catania e ti alzi, corri fuori, liberato come un incontinente urli la tua gioia, neanche avessi eliminato il Benfica o il Real Madrid e fossi risalito sul tetto d’Europa. In realtà, è la stessa cosa e Antonio Conte l’ha capito sulla propria pelle: di giovedì sei un antisportivo pieno di limiti, di domenica torni condottiero invincibile.
O viceversa. Martedì prossimo, si ridiscende. Gli altari son costruiti sulla polvere e le stelle splendono nelle stalle. Il passo tra la gloria e l’infamia è talmente breve che lo si percorre da fermo, basta lasciare che si muova il tempo: uno scatto di lancetta appena. Del diman v’è una certezza: gli eroi di oggi saranno derisi e i cialtroni innalzati al soglio.
Avendo capito che non esistono più non soltanto le mezze stagioni, ma neppure le mezze misure, Conte più di chiunque altro si è adeguato: ha eletto a “partite della vita” tappe di trasferimento contro fantasmi del calcio come Bologna e Sassuolo e considerato “reato punibile con pene corporali” un pareggio a Verona. Si esalta per momenti che ispirerebbero a Benitez una virgola sul taccuino e a Montella un’aggiustata di ciuffo. Va fuori di testa per un fallo laterale contestato. Vive sopra le righe, perché non c’è più margine. Non esiste prospettiva, è tutto qui e ora, come non ci fosse domani e certo di ieri non importa a nessuno. L’informazione detta i tempi della vita e pulsa come il battito di un cuore: per sentirsi vivi e presenti basta quello attuale.
Crea un cortocircuito leggere sui giornali di ieri gli elogi dell’allenatore che due giorni prima, eliminato dal Benefica e dalle proprie parole, era stato vituperato. Si sa, i pezzi scudetto erano precotti, ma non sarebbero stati comunque molto diversi: ogni risultato cancella il precedente, anche se le grandi sconfitte sono chiodi nell’anima e i trionfi carezze di una notte. Allenare è un mestiere adatto a uomini con grande autostima, ironia e senso dell’effimero. Difficile trovare chi abbia tutte e tre le doti. Questa stagione che va a concludersi ha messo alla prova chiunque, in Italia e fuori.
Guarda quel che accade a Milano. Seedorf è stato il salvatore della patria, poi il clown con il circo al seguito, si sono aperti i sondaggi sulla successione, e adesso? Dopo la vittoria nel derby (sesta su sette): che fai, lo cacci come un Fini qualsiasi? E Mazzarri all’Inter? Riconfermato, riconfermatissimo, anzi vattene. Non da ieri, è dall’inizio dell’anno che va così. Un tiro sul palo, una prodezza al 92’, la scivolata di un capitano cambiano il destino. Ogni allenatore è come un titolo in Borsa: oggi sale, domani scende, senza vero collegamento con il suo valore effettivo. Prendi i Grandi. Prendi Guardiola, costretto a rimettere il suo mandato nelle mani del kaiser perché in una stagione intera ha di fatto perso (ma davvero male) una partita sola. Prendi il suo opposto, Mourinho. Quando ha parcheggiato gli autobus lontano dal garage di casa, a Madrid e Liverpool, era il solito Speciale. Poi ha lasciato aperta la serranda nel ritorno con l’Atletico, si è perso le chiavi con il Norwich ed è diventato un altro Banale. Prendi allora il suo giustiziere di coppa: il grande Sime-One. Torna dalla campagna d’Europa, perde con il Levante e tramonta verso un orizzonte dove può ancora vincere tutto o niente e diventare Sime-Due, quello che arriva solo secondo. Avete mai sentito parlare di uno così? Allenava la Juve, si chiamava Ancelotti. Ha dovuto girare mezza Europa per convincere di essere un vincente, ma mentre perdeva con il Valencia era tornato uno stinco di perdente. L’extra-tacco di Ronaldo l’ha risospinto nel limbo delle possibilità, ma in un attimo tutto potrà cambiare. Senza quel tacco il trofeo della Liga viaggiava verso la bacheca del Barcellona allenato da Tata Martino, la badante che ha già ricevuto gli otto giorni. Probabilmente a favore di Luis Enrique, uno che a Roma viaggiava a targhe alterne: un giorno CAmpione, un altro COjone. La giostra va, ma ci vuole fegato per starci sopra, prendersi fiori e pomodori, schiaffi e baci. Dev’essere come aver sposato una schizofrenica. La sera in cui ti telefona da Catania e ti dice che sei l’amore della sua vita vai alla finestra e dai di matto. Tanto lo sai che dura quanto lo spot di una compagnia telefonica dove fingono di volerti bene. Domani chiami Marotta, gli chiedi questo e quello, lui ti dice di no, tu ti arrabbi ma, se sbatti giù e te ne vai, ti danno tutti del venduto e dicono: meno male, ce ne siamo liberati.

Gabriele Romagnoli, la Repubblica 6/5/2014