Filippo Ceccarelli, la Repubblica 6/5/2014, 6 maggio 2014
LA POLITICA DEL GESTACCIO
Può sembrare una bizzarria, e tanto più cervellotica nella sua cronologica sequenza, ma da una decina d’anni in poi la grande regressione della politica viaggia di pari passo con il dito medio.
Posto che meno argomenti circolano e più gestacci si levano al cielo, con la dovuta pedanteria si fa presente che l’inaugurazione avvenne di soppiatto, o meglio forse di contrabbando nel giugno del 2005, allorché l’allora presidentissimo Berlusconi, in visita a Bolzano, volle raccontare l’autoaneddoto secondo cui Mamma Rosa, vedendo un giorno alcuni rivolgersi in quel modo all’amato figliolo, così l’avrebbe consolato: «Te lo fanno perché vogliono dirti che sei il numero uno».
L’improbabile storiella suscitò comunque l’entusiasmo dei moderati nonché l’eterna riconoscenza di Michaela Biancofiore, ritratta al fianco del Cavaliere durante la plastica esibizione. E in questo senso si coglie al volo l’opportunità per ricordare che ancora diversi anni dopo, per celebrare il compleanno della bionda onorevolessa venne confezionata una incredibile torta su cui era impressa la scenetta, con tanto di dito medio che faceva da pennone alla bandiera del Pdl.
Ma sul momento l’evento di Bolzano suscitò un corsivo del povero Enzo Biagi che sul Corriere della Sera, nel riprovare la volgarità del gesto, chiese ai suoi lettori: «Potete immaginare un De Gasperi, un Nenni o un Togliatti impegnati in questa sceneggiata?». Contro il giornalista, già allora vittima dell’editto bulgaro, si scatenarono le accuse dei berlusconiani (fra i quali piace qui ricordare gli odierni transfughi Cicchitto e Schifani). Ma in tutta franchezza occorre anche aggiungere che nel 2005, oltre ai padri della patria menzionati da Biagi, nessuno si sarebbe potuto immaginare Fassino — che pure anche allora certe volte diventava molto, molto nervoso.
Sia come sia, sei mesi dopo l’auto-ironico dito medio berlusconiano, la vita pubblica conobbe il dito medio chiaramente offensivo di Daniela Santanché che sul portone di Montecitorio, occhiali da sole e sorriso sprezzante, così accolse una manifestazione di studenti, invero poco amichevole nei suoi confronti. C’era accanto a lei l’onorevole La Russa, di cui fu scritto che salutò i dimostranti portandosi le mani all’inguine.
Ora, sostiene il fondatore dell’etologia Desmond Morris che spesso si tende a sottovalutare il valore dei gesti dietro cui traspare una certa cultura fallica. Nel caso in esame — ci facciano un pensierino i politici della destra pop, ma da ieri anche i sindaci riformisti — il riferimento di scuola è al comportamento dei primati che affermano la propria superiorità con minacce oscene, surrogati e metafore di aggressioni sessuali indifferenziate.
Del resto, se si dà per acquisito il degrado del potere e delle sue forme espressive, interrogarsi sul possibile nesso con certi atteggiamenti degli scimmioni comincia a diventare non solo interessante, ma perfino obbligato. Così, mentre fra corna e l’ombrello Berlusconi si preparava a completare il triduo gestuale della volgarità, alla fine del 2006 partiva la muta epopea triviale di Umberto Bossi.
Il quale, come forse si ricorderà, prese a esporre il dito medio in ogni plausibile occasione, sui palchi e dalla macchina, con sciarpa e senza, rivolto a giornalisti e fotografi, riguardo elezioni o pensioni, con la collaborazione straordinaria di Calderoli, insomma, ce ne fu per tutti e su tutto, pare di ricordare anche sulla t-shirt del Trota, «Padania is not Italy» e poi l’immagine stilizzata del dito medio, patetico e strematissimo indizio di ciò che restava del celodurismo.
Il guaio di queste faccende sta nella rapidità del loro ridicolo contagio — tanto più intensa, se si considera che il gesto non è italiano e anche solo quarant’anni fa era pressoché sconosciuto. Per cui nel novembre 2011, la notte delle dimissioni di Berlusconi, tanto Formigoni quanto Sacconi reagirono in quello stesso modo alla folla plaudente; così come si deve di nuovo a Daniela Santanché un ulteriore sviluppo del dito medio, da lei esportato sul piccolo schermo con astuta disinvoltura, fingendo di togliersi un anello, in risposta al dileggio di Luciana Littizzetto.
La preoccupazione è ora quella che dopo Fassino nessuno ci faccia neanche più caso, archiviando la scurrile movenza nel campo già piuttosto affollato dell’ordinaria e buffonesca varietà. A tale comparto appartiene la giustificazione addotta ex post dall’incauto sindaco, secondo il quale occorreva «contestualizzare » il gesto, così come a suo tempo monsignor Fisichella richiedeva per una blasfema storiella berlusconiana. Così come «umana» è l’aggettivo con cui il povero Fassino ha designato la sua reazione - ma a patto di omettere gli studi sulle scimmie, la potenza rivelatrice dei video e un po’ anche i rischi della grande regressione in atto.
Filippo Ceccarelli, la Repubblica 6/5/2014