Mattia Eccheli, Il Fatto Quotidiano 6/5/2014, 6 maggio 2014
BELLEZZA, NUOVO BIGLIETTO DA VISITA SEUL DIVENTA LA MECCA DEL BISTURI
Seul
Non è globalizzazione anche questa?”, risponde educatamente una ragazza del posto. I chirurghi estetici della Corea del Sud stanno definendo i nuovi parametri della bellezza asiatica. Secondo un’indagine condotta per conto dello Stato, nella sola Seul il 32% degli intervistati intende sottoporsi a un intervento di “cosmesi”, contro il 21,5% del 2009. Di più: nel 2012 il 20% delle donne tra i 19 ed i 49 anni della capitale ha ammesso di essere stata sotto i ferri. “Per il lavoro è importante presentarsi bene”, precisa la giovane. E il “bene” sembra significare “all’occidentale”.
La Corea del Sud ha una domanda interna impressionante: con 13 interventi di chirurgia plastica ogni 1.000 abitanti è la nazione al mondo con la più alta incidenza di operazioni estetiche. Nel 2011 sono state quasi 650.000 e non sono coperte dall’assistenza sanitaria.
Sull’onda di questa tendenza, è fiorita l’industria del camice bianco che ha già richiamato – ne hanno parlato i media locali – reali e sultani, imprenditori di successo e politici come il presidente armeno Serzh Sargsyan o il premier del Kazakhstan. Sono tra i “turisti del bisturi” della Corea del Sud, il nuovo eden dei viaggi della salute e della bellezza artificiale. E la nuova frontiera del business sanitario ed estetico, soprattutto nel distretto di Gangnam, quello del tormentone musicale da quasi 1,8 miliardi di visualizzazioni su youtube e che fino a qualche anno fa era uno dei meno sviluppati della megalopoli.
Il nuovo “style” è quello dei ferri sotto i quali finiscono sempre più stranieri. Anche perché le cliniche sono tecnologicamente all’avanguardia ed i prezzi interessanti rispetto ad altre nazioni. Gangnam da sola è la destinazione finale di un quinto dei viaggiatori.
L’OFFERTA ALL’ESTERO
viene promossa anche attraverso il sito turistico ufficiale per sostenere l’attività di cliniche ed ospedali che sono spuntati come funghi, mimetizzati tra un ristorante “Gatto Buono”, un Caffè Pascucci, una bottega di Zara e una quantità industriale di banche ed una serie di esercizi in franchising. Il governo è intervenuto per regolamentarne l’indotto, con un giro di vite sulle agenzie della salute. Troppe quelle non autorizzate che rischiavano di minare la credibilità dell’attività: un operatore senza licenza che organizza un viaggio per uno straniero rischia fino a 2 anni di carcere e una multa fino a 15.000 euro.
Secondo l’International Society of Aesthetic Plastic Surgeons – Isaps, la società internazionale per la chirurgia plastica estetica – nel 2011 15 milioni di persone nel mondo hanno subito un intervento.
Nel solo 2012 i turisti del bisturi in Corea del Sud sono stati 159.000, provenienti da 188 paesi. Soprattutto dalla Cina, che ha scavalcato come importanza sia gli Stati Uniti sia il Giappone. Poi ci sono Canada e Mongolia. La crescita del fenomeno è esponenziale: i dati, ancora ufficiosi, del 2013, parlano di 399.000 arrivi, ma secondo il Ministero della salute sono la metà. Nel 2015 dovrebbero essere poco meno di 600.000 (non tutti per operazioni di chirurgia plastica) per arrivare a quasi un milione nel 2020. Impressionante il volume d’affari: circa 2,4 miliardi di euro (3,5 trilioni di won) stimati per il 2020, oltre tre volte tanto quello calcolato per lo scorso anno (1 trilione).
Palpebre, mento, rinoplastica – tutto per sembrare meno asiatici - sono le operazioni più comuni. Che agli stranieri costano da una volta e mezza a due in più rispetto ai coreani. Il pacchetto per l’intervento più semplice parte da 11.000 euro, ma molto dipende anche dai comfort aggiuntivi. Una cifra importante, ma non proibitiva. E comunque più alta rispetto ad altri paesi come Malesia, Thailandia e forse anche Brasile, India e Costa Rica.
Tra le nazioni che si stanno spartendo il ricco turismo sanitario ed estetico ci sono anche Singapore, Turchia, Ungheria e Messico. Un settore che porta lavoro: non solo ai chirurghi, ma anche a personale meno specializzato come quello infermieristico. Ed agli interpreti, che in una clinica coreana normale sono il doppio rispetto ai medici. Le lingue più richieste sono il mandarino, il cantonese, il giapponese ma anche il vietnamita oltre che l’inglese.
Mattia Eccheli, Il Fatto Quotidiano 6/5/2014