Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 05 Lunedì calendario

LA SPESA 24 ORE SU 24 COSI I PICCOLI NEGOZI RICONQUISTANO CLIENTI


ROMA.
Gli orari sono da ipermercato, le gigantesche cattedrali dei consumi ante crisi: 8-20.30, tutti i giorni, domeniche e festivi compresi, senza pausa per il pranzo. La superficie espositiva, però, non supera i 4 metri per 6, le strutture si riducono a due scaffalature da magazzino ricambi alle pareti e a dieci cassette appoggiate su trespoli di metallo in mezzo, per un valore totale della merce in vendita che, a occhio, non supera i 300 euro. Crederci è difficile, ma, forse, passa di qui la nuova frontiera della distribuzione alimentare. Nel quartiere, a ridosso del Gianicolo, a Roma, hanno chiuso a stretto giro due supermercati e Elio ha colto l’occasione al volo. Albanese, da 25 anni in Italia, un impiego sicuro da cuoco, ha deciso di raddoppiare, con l’aiuto della moglie le occasioni di guadagno, mettendosi in proprio. La sera tardi va da un grossista alla Magliana a rifornirsi di frutta e, poi, a Maccarese per la verdura. Il risultato è esposto, la mattina dopo, nel negozietto. Nell’ordine, una cassetta di arance da spremere, una di arance da mangiare, una cassetta di mandarini, poi mele, pere, finocchi, sedano, carciofi, lattuga, pomodori. Più qualche cestino di fragole. Niente patate e neanche banane, perché lo spazio è quello che è.
In questi giorni, Elio gira il primo mese di attività e si dichiara soddisfatto. Tanto da aver voglia di allargarsi. «Avevo pensato al pane - dice - ma ho lasciato perdere perché lo vende già Dagan, il serbo della pizza a taglio, due porte più in su. Così, sto facendo delle prove ». Sul banchetto della cassa c’è un cestello con due mozzarelle in busta. Sugli scaffali appoggiati alle pareti bianche sono in mostra: una bottiglia di vino rosso, due di aceto, tre birre, due bottiglie di passata di pomodoro, due pacchi di biscotti. E’ soltanto un campione di merce che gli ha lasciato un distributore, ma che, a Elio, serve per sondare il mercato. Tenendo ferma quella che è la sua strategia economica fin dall’inizio. Il momento chiave della giornata è, infatti, il giro dei supermercati vicini per verificare i prezzi. Elio, con il suo stipendio alle spalle, può permettersi di rasare il listino all’osso. «La gente — dice — ci sta attenta. Viene anche per dieci centesimi di meno».
Cinquecento metri più su, la filosofia aziendale di Mohammed è diversa. Anche lui è arrivato dopo la chiusura del Carrefour e del Pam. Ha aperto un mese e mezzo fa, fra l’elettrauto e l’agenzia immobiliare, al posto dell’orologiaio e a venti metri da dove, per mezzo secolo e fino ad un anno fa, si sono affacciate le vetrine della salumeria coetanea delle prime case della via. Rispetto a Elio, Mohammed, che viene dal Bangladesh, ha investito qualcosa di più. Il negozio è un po’ più grande e stipato di merce. Oltre a frutta e verdura, prodotti per la casa, biscotti e confezioni, anche di marche pregiate. Anche Mohammed cura il prezzo (le arance costano meno che da Elio), ma quello su cui punta è il servizio. L’orario è quasi notturno, 7-22.30, ma si toccano, spesso, le 23. Tutti i giorni, naturalmente. «L’idea - dice - è che se ti manca qualcosa, in qualsiasi momento, puoi scendere da me. O anche restare a casa». La consegna a domicilio, infatti, è gratuita.
Elio e Mohammed sono in affari solo da poche settimane ed è troppo presto per dire se il fenomeno ha gambe, ad esempio al di fuori delle grandi città. I dati nazionali dell’Istat ancora incrociano il lungo declino dei negozi tradizionali, a conduzione familiare, con la decennale espansione della grande distribuzione: a febbraio, la diminuzione delle vendite nei piccoli esercizi è stata il triplo della riduzione registrata dalle grandi catene. Tuttavia, si può già escludere che la rivincita del negozietto sia soltanto lo sfruttamento di nicchie lasciate scoperte dai supermercati. Quei mininegozi spartani sono il segnale della fine di un’epoca. «La vediamo già da un paio d’anni » spiega Mariano Bella, capo dell’ufficio studi di Confcommercio: «Non si parte più per le grandi spedizioni, magari con tutta la famiglia, in cui si metteva insieme la spesa per due settimane. Lo stesso costo della benzina incide troppo. E nessuno si sogna più di stipare ogni angolo del frigo. Si fanno meno scorte, perché non ci si può più permettere di sprecare, di finire per buttare roba che non si utilizza».
In generale, secondo Bella, si torna a fare la spesa vicino casa, in esercizi più piccoli. Le stesse grandi catene puntano sempre più su supermercati a dimensione ridotta. Superfici più piccole significano meno capitale da investire, rispetto ai grandi centri commerciali, ma anche costi di gestione inferiori, perché ferma sugli scaffali c’è meno merce e meno varietà, come la crisi comanda. I consumi, in particolare quelli alimentari, stanno infatti colando a picco. A gennaio, le vendite sono diminuite ancora dell’1 per cento, rispetto ad un anno fa e febbraio è andato anche peggio. Ma, mentre per gli ipermercati il calo, dall’inizio del 2014 è stato del 2,8 per cento, discount e supermercati lo hanno contenuto allo 0,5 per cento. E, dentro la crisi, si moltiplicano piccole opportunità per stranieri, come Elio e Mohammad, o anche, osserva Bella, italiani che rinunciano all’inutile ricerca di una busta paga e un posto da lavoro dipendente, per tentare in proprio.
I dati della stessa Confcommercio consentono di fiutare una tendenza. Fra il 2012 e il 2013 la mattanza degli esercizi commerciali è continuata e si è aggravata. Gli esercizi che chiudono continuano ad essere oltre il doppio di quelli che aprono. Ma la tendenza non è tutta uguale. In tutti i settori e in tutte le tipologie il saldo fra chi tira giù per sempre la saracinesca e chi la tira su per la prima volta continua ad essere negativo. Se si guarda, tuttavia, solo alle iscrizioni, ai negozi che aprono, si respira un’aria diversa. Fra il 2012 e il 2013 il numero di nuovi supermercati che hanno aperto i battenti è sceso, da 1.959 a 1.875. Ma il numero di quelli che tentano l’avventura di un piccolo frutta e verdura è aumentato. E così, in generale, in tutti i settori dell’alimentare: in totale, 2.633 nuovi negozi nel 2012, 3.341 nel 2013. La scommessa del piccolo, spesso piccolissimo, insomma il mini mini market, è l’altra faccia della crisi. E anche il segno che, dopo un lungo giro, la ruota è paradossalmente tornata al punto di partenza.
La distribuzione alimentare è cambiata radicalmente, in Italia, negli anni ‘50, quando i contadini lasciavano le campagne e, con i soldi della terra venduta, si trasformavano in salumieri e fruttivendoli nelle grandi periferie urbane, spesso con i prodotti ancora del paese di provenienza. Quei negozi sono cresciuti con il miracolo economico e l’urbanizzazione, ma hanno finito per scontrarsi con i limiti delle aziende familiari. Entra in scena la grande distribuzione, capace di abbattere costi e prezzi, grazie ad enormi volumi di vendita. La crisi ha azzoppato anche questo modello, riducendo i volumi e, soprattutto, rallentando il ritmo di smaltimento della merce, trasformatasi in zavorra economica sugli scaffali. E riemerge il negozietto spartano, quasi da dopoguerra. Bentornati agli anni ‘50.

Maurizio Ricci, la Repubblica 5/5/2014