Alberto D’Argenio e Fabio Tonacci, la Repubblica 5/5/2014, 5 maggio 2014
INFRAZIONI, ITALIA MAGLIA NERA 250MILA EURO DI MULTA AL GIORNO PER LE DISCARICHE IRREGOLARI
ROMA
È UN fatto di credibilità oltre che di soldi, di tanti soldi. Con la bellezza di 114 procedure di infrazione pendenti di fronte a Bruxelles l’Italia è maglia nera assoluta per il livello di illegalità nel rispetto delle regole comuni ai 28 paesi dell’Unione. A contribuire alla Waterloo italica ci sono un po’ tutti: ministeri, regioni e burocrazie varie che non adottano le direttive europee o che proprio non riescono a rispettarle.
Un’emergenza che ci può costare centinaia di milioni di sanzioni che, in periodo di crisi, fanno gridare allo scandalo. Basti contare che la multa minima che Bruxelles può adottare contro l’Italia al termine dei contenziosi è di 8 milioni ai quali si aggiungono penalità da 10 mila a 642 mila euro per ogni giorno in cui il Paese non rientra nella legalità dopo una sentenza definitiva. Cifre da capogiro. E poi come chiedere all’Europa di cambiare, come si propone Matteo Renzi, se oltre ad avere il secondo debito pubblico dell’eurozona ogni anno si buttano via miliardi di fondi strutturali e oltretutto si è il Paese con più infrazioni del Continente? Se lo chiedono a Palazzo Chigi, dove stanno preparando un pacchetto d’emergenza per arrivare al semestre italiano di presidenza dell’Unione con le carte in regola per ridiscutere le regole base della moneta unica.
Già, perché non è facile pretendere dall’Europa più solidarietà (si parli di debiti sovrani, di lotta alla disoccupazione o di immigrazione) e più flessibilità sui conti pubblici quando si buttano via i soldi. E per giunta per inettitudine. Basti pensare che delle 114 procedure di infrazione a carico dell’Italia, 34 sono provocate dalla mancata trasposizione nel nostro ordinamento delle direttive comunitarie, leggi Ue che i nostri governi hanno approvato insieme agli altri partner al Consiglio europeo. Nulla di imposto o sgradito, dunque. E poi ci sono le 80 procedure per violazione delle regole comunitarie.
Scorrendo le tabelle si capisce subito che il problema più grave le nostre amministrazioni ce l’hanno con l’ambiente, che con 21 procedure pendenti è il settore più colpito da Bruxelles (14% del totale). E quasi sempre quando si parla di ambiente la colpa è delle regioni. Seguono i trasporti con 16 procedure aperte, ma ce n’è per tutti: dagli appalti al lavoro passando per salute, tutela dei consumatori, economia e giustizia.
A far paura sono le sedici infrazioni che a breve possono trasformarsi in multe. In cima alla lista c’è la procedura aperta nel 2003 per il mancato rispetto delle direttive Ue sulle discariche. La Commissione di Bruxelles ha chiesto 61 milioni di multa e una penalità di 256mila euro per ogni giorno in cui l’Italia non si è conformata ai richiami. A breve arriverà la sentenza finale della Corte di giustizia del Lussemburgo e la condanna definitiva potrà essere evitata solo chiudendo prima del giudizio, ovvero in tempi rapidissimi, le discariche fuori norma. L’altra stangata dietro l’angolo nasce dall’emergenza rifiuti in Campania, quella che il governo Berlusconi prometteva di risolvere con la bacchetta magica: la Commissione chiede alla Corte il via libera a 34 milioni di multa più una penalità di mora di 94 milioni all’anno a partire dal 2014. E ci sono altre due procedure in fase finale: quella per gli aiuti illegali ai servizi pubblici del 2006 e quella per gli aiuti alle imprese di Venezia e Chioggia: Bruxelles a breve proporrà ai giudici del Lussemburgo le multe da comminare all’Italia. Lo stesso potrebbe avvenire per le altre infrazioni in fase finale che riguardano l’uso delle reti a strascico nei nostri mari (vietate), i mancati controlli sugli impianti industriali inquinanti, la responsabilità civile dei magistrati (contenzioso che dovrebbe essere chiuso a breve con la legge comunitaria) e il mancato recupero dei fondi illegali alle municipalizzate della “Tremonti bis”. C’è poi la bomba ad orologeria delle quote latte, con Bruxelles che a breve potrebbe andare all’escalation visti i ritardi del recupero degli aiuti concessi agli allevatori del Nord dalla coppia Bossi-Tremonti, gentile regalo che all’Italia potrebbe costare carissimo.
C’è infine la Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, tribunale non dell’Unione bensì del Consiglio d’Europa, organismo al quale aderiscono 47 paesi compresi tra il Portogallo e la Russia. Tristemente nota la condanna all’Italia per il sovraffollamento delle carceri. La sentenza è sospesa fino al 28 maggio, data entro la quale Roma dovrà convincere Strasburgo di avere messo fine ai trattamenti «inumani e degradanti» dei detenuti. Ci proverà argomentando che ora ogni carcerato ha a disposizione più di tre metri in cella e che il sovraffollamento sta diminuendo grazie all’eliminazione del reato di clandestinità, alle misure alternative e all’abrogazione della Fini-Giovanardi. Se non ci riuscirà verrà condannata a 100mila euro per ogni ricorso: al momento sono già 800. Senza dimenticare che il Belpaese ha già pagato centinaia di milioni di multe per l’eccessiva durata dei processi, problema ben lungi dall’essere risolto e che ogni anno ci “regala” nuove sanzioni.
A Palazzo Chigi stanno studiando un piano d’emergenza per la riduzione del danno. Se ne occupa il sottosegretario alle Politiche europee Sandro Gozi che ha ideato un «pacchetto speciale» per l’abbattimento del numero di procedure Ue. Gozi, oltre a pressare ministeri e amministrazioni ad agire, vuole usare gli strumenti messi a disposizione dalla legge 234 (che ha scritto con Buttiglione e Pescante nel 2012) approvando una legge comunitaria bis (prima se ne poteva fare solo una all’anno) per chiudere parte delle infrazioni dovute alla mancata applicazione delle direttive e due nuovi leggi di delegazione europea (prima non esistevano) per il recepimento delle direttive ignorate. Una lotta non facile visto che i funzionari di Bruxelles quando la Commissione è a fine mandato tendono a “svuotare i cassetti”, con nuove infrazioni che a breve potrebbero planare su Roma vanificando parte degli sforzi del governo per ridurne il numero.
Alberto D’Argenio e Fabio Tonacci, la Repubblica 5/5/2014