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 2014  maggio 05 Lunedì calendario

I DIECI CAPI ULTRAS PADRONI DEGLI STADI TRA CAMORRA AFFARI E POLITICA


Da Napoli a Torino, da Roma a Milano e poi Catania, Brescia, Verona. Ogni curva il suo capo. Ogni capo il suo territorio. Ogni territorio le sue regole scritte a suon di botte e minacce. Un uomo solo (o quasi) al comando. Uno che decide, fa e disfa per tutti. Nelle curve metropolitane «tutti» vuol dire anche 10 o 15mila persone. Che ti obbediscono e ti seguono. Pure all’inferno, se occorre.
‘A CAROGNA E IL CLAN
Gennaro De Tommaso non è un tifoso come gli altri. Non solo per quel nomignolo “a carogna” che da solo vale più di qualsiasi biografia. Ma per la sua famiglia, la cui storia di criminalità di strada si intreccia con due clan di camorra: i Misso del Rione Sanità e i Giugliano di Forcella. C’è lo zio, Giuseppe de Tommaso, detto “l’assassino”. E c’è il padre di Gennaro, Ciro, detto “Ciccione a Carogna”, condannato per associazione camorristica e per fatti di droga, per i quali si è beccato in primo grado 24 anni. «È stabile fornitore di stupefacenti dei Giugliano», si legge nella sentenza. Genny cresce in quell’ambiente lì. Ha un bar nel cuore di Forcella ed ha scalato i Mastiffs, diventandone il capo. Per chi non conosce i mastini del Napoli, basti sapere che sono considerati i tifosi più violenti, teste calde, dalla coltellata facile.
Si fa conoscere subito, Genny. Si guadagna “sul campo” due Daspo, uno nel 2001, un altro nel 2011, poi revocato. Nel suo passato accuse di rapina e spaccio, ma sulla fedina nessun precedente che lo leghi direttamente alla camorra. «È lui il capo di tutta la curva del Napoli», indicò nel 2008 il pentito Emilio Zapata Misso, disegnando ai magistrati la geografia ultrà del San Paolo, con i nomi degli infiltrati mafiosi in curva.
L’ASSE MILANO-TORINO
Milan, Inter e Juventus rivali giurate? Sul campo, forse. In curva, un tempo. Poi sono arrivati i nuovi capibastone e con loro l’amore per gli affari, lo spaccio di coca, il business delle trasferte e del merchandising, la politica «nera». Si chiamano Giancarlo Lombardi detto “Sandokan”, Loris Grancini, e Franco Caravita, per tutti ”Franchino”. Dietro di loro pesa da tempo l’ombra della criminalità organizzata. Grancini è a capo dei Viking della Juventus. Campione di poker, è considerato uomo vicino a Cosa nostra e alla cosca calabrese dei Rappocciolo. Gli investigatori della Squadra Mobile milanese lo ritengono «abilissimo a far perdere le proprie tracce soprattutto per il suo inserimento in circuiti criminali di elevato spessore». Grancini e i suoi Viking hanno sede a Milano, dove, nel 2011, sostiene la candidatura in consiglio comunale del pidiellino Marco Clemente.
Sandokan gira in Ferrari e va poco in curva sud a San Siro. Però la controlla. Il secondo anello milanista è roba sua. Nel 2007 finisce dentro dopo l’agguato a colpi di arma da fuoco ai danni di un ultrà del gruppo Commandos Tigre capeggiato da Ricky Cardona: è l’atto più eclatante di una violenta faida interna alla curva sud. Oggi sono tutti lì e comandano più di prima. Pestaggi. Lotte per il potere. Quella che ha visto protagonisti in questi anni, sponda Inter, il “teppista” Nino Ciccarelli, fondatore dei Viking neroazzurri, e “Franchino” Caravita, storico capo dei Boys. Una scia di precedenti Ciccarelli e Caravita. Violenze. Agguati. Sprangate.
LA PIAZZA DI ROMA
Come “’a carogna”, anche Daniele “Gastone” De Santis, il romanista arrestato sabato, gestisce un bar al circolo sportivo Boreale, ritrovo dei fascisti di tutta la città. Ma non è più lui a comandare dentro l’Olimpico. Al centro della Sud, dagli anni Settanta, nessuno smuove i Fedayn, capeggiati da Fabio Catalano. Alle sue spalle, ogni domenica, una fauna di pregiudicati. C’è poi Nicola Follo, leader dei Padroni di Casa. È un gruppo più piccolo, un centinaio di ragazzi o poco più, tutti estremisti di destra di Casa-Pound. I neri hanno il controllo dello stadio, ormai. Sulla sponda laziale, settore Irriducibili, il gerarca è ancora Fabrizio “Diabolik” Piscitelli: 47 anni, in prigione per traffico di stupefacenti tra l’Italia e la Spagna.
Per trovare i rossi bisogna salire a Livorno, terra delle ex Brigate autonome livornesi, oppure nella piccola Teramo. Qui si scopre la storia di Davide Rosci, 31 anni, comunista, guida del “Teramo Zezza”, ribattezzata la curva più a sinistra d’Italia. È stato condannato a 6 anni di carcere per l’assalto al blindato dei carabinieri del 2011, durante una manifestazione degli Indignati.
DA VERONA A CATANIA
«Il salto di qualità, che è anche un salto nel buio, alcune curve lo hanno fatto quando si sono consegnate alla criminalità organizzata», spiega Maurizio Marinelli, direttore del Centro studi sicurezza pubblica della Polizia. Mafia e pallone, dunque. C’erano i boss di Brancaccio dietro l’esposizione dello striscione “Uniti contro il 41 bis” durante Palermo-Ascoli nel 2002. Ora in Sicilia il tifo più pericoloso è quello di Catania. La curva è in mano a Michele Spampinato. È lui che, a 31 anni, subisce una “puncicata” durante una trasferta a Roma il 21 gennaio del 2008. Ed è lui, a marzo di quest’anno, a firmare una lettera contro il presidente del Catania Pulvirenti, a nome di tutti i tifosi rossoblù. È daspato, ma lo stesso un capopopolo.
C’è anche chi dalla curva è scappato e oggi fa il latitante in Costa Rica. Come Andrea Fantacci, ras storico delle disciolte Brigate Gialloblù dell’Hellas Verona. Oggi la curva veronese si autogestisce, tifo spontaneo “all’inglese”: basta gruppi e basta capi. Troppo riconoscibili. Troppe grane con la giustizia, quando i magistrati mettono sotto torchio le tifoserie turbolente. È il caso di Bergamo e Brescia. La curva nord atalantina, guidata dal “Bocia” Claudio Galimberti, è stata messa alla sbarra dal pm Carmen Pugliese per anni di violenze, in particolare per l’assalto a colpi di molotov all’ex ministro Maroni reo di aver introdotto l’odiata tessera del tifoso. I cugini bresciani, tra daspo e divisioni interne, non se la passano meglio. «Ma di farci schedare dallo Stato — ripete Diego Piccinelli del gruppo Brescia 1911 — non ci pensiamo nemmeno».

Paolo Berizzi e Fabio Tonacci, la Repubblica 5/5/2014