e.l., Il Fatto Quotidiano 5/5/2014, 5 maggio 2014
MEZZO SECOLO DI ECCELLENZA, MA NEL ‘97 L’AZIENDA ERA FALLITA
Non è sempre stata quella che oggi viene definita un carrozzone, l’Alitalia. E’ stata anche una delle prime sette compagnie aeree del mondo, la terza in Europa, la prima in assoluto per sicurezza e manutenzione degli aerei. Oltre a essere la prima per la professionalità dei piloti, soprattutto quelli della prima leva, che provenivano dalla scuola dell’aeronautica militare.
La compagnia nasce il 5 maggio del 1947 quando dall’aeroporto dell’Urbe di Roma, sulla Salaria, parte il primo volo Alitalia con destinazione Catania: l’aereo è un trimotore G12 Fiat, il costo del biglietto è di 7.000 lire che, per l’epoca, era assolutamente uno sproposito. Questione per ricchi. A capo dell’azienda, nata un anno prima, Nicolò Carandini nella qualifica di presidente, politico liberale, grandi capacità nelle relazioni internazionali. L’amministratore delegato invece è tecnico, un pilota militare e segnerà la storia della compagnia: si chiama Bruno Velani. Il direttore generale, invece, Donato Saracino, è un uomo azienda dell’Iri. Dal 1948, e per i successivi 15 anni Alitalia cresce con continuità e a ritmo inarrestabile: apre nuove rotte, rinnova la flotta e vola ovunque ci siano italiani nel mondo. È la compagnia di riferimento di tutto il continente africano dove, come raccontaò a Giovanni Minoli uno steward in pensione “un rappresentante dell’Alitalia contava più dell’ambasciatore italiano”. Nel 1950 Alitalia ingloba Ati, delle linee aeree transcontinentali italiane e conquista anche le rotte del Sudamerica. Intanto vengono assunte in servizio sui DC-4 le prime hostess che indossavano allora tailleur disegnati dalle sorelle Fontana. Nel 1952 l’azienda chiude il suo primo bilancio in attivo: investe in nuovi aerei a cabina pressurizzata. Aerei veloci e sicuri. Soprattutto, con l’alta quota, vengono ridotte in maniera sostanziale le turbolenze . Ma il fiore all’occhiello sono appunto la squadra di ingegneri e meccanici che lavorano negli hangar: vengono paragonati, oggi come allora, ai team che lavorano attorno alle Ferrari.
Fino a quel giorno l’Alitalia e gli aerei restano questione per benestanti. Lo resteranno anche molti anni dopo, ma a metà degli anni Cinquanta nasce la classe turistica e con le tariffe economiche il trasporto aereo, diventa alla portata del ceto medio alto: un volo Milano-Londra costa 43.500 lire, mentre un Milano-Parigi 19.700 lire.
La compagnia di bandiera italiana può competere con tutte le altre del mondo e, in concomitanza con le Olimpiadi di Roma, con due mesi in anticipo, arriva a un milione di passeggeri, una media di centomila al mese che, per l’epoca, sono tantissimi. Alitalia collega 70 nazioni, fattura 140 miliardi e conta 10 mila dipendenti. E fino alla fine degli anni Settanta la crescita di Alitalia non conosce crisi: scala tutte le classifiche per qualità, rinnova in continuazione aerei nuovi, apre su nuove rotte, diminuisce il costo dei biglietti. A inceppare quella che viene considerata un’azienda perfetta ci si mette la crisi petrolifera. Il 1978 segna l’anno della grande crisi.
Presidente degli Stati Uniti è il democratico Jimmy Carter: è lui che apre alla deregulation. Cambia le regole, spinge la concorrenza e, in pratica, firma la morte di tutte le compagnie di bandiera, quelle che avevano mantenuto l’esclusiva sulle rotte e, di conseguenza, una situazione di assoluto monopolio. La deregulation vuol dire, negli Stati Uniti, la fine della Pan Am, la più grande compagnia aerea del mondo. L’effetto Carter, in Europa, porta la data del 1997, con la concorrenza dei privati e l’avvento delle compagnie low cost. Ma l’Alitalia, nel 1997, è già un malato terminale: è ancora controllata al 100% dal ministero del Tesoro, non ha alleati, ha le casse vuote, pochi aerei e vecchi. Tecnicamente la compagnia è fallita.
e.l., Il Fatto Quotidiano 5/5/2014