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 2014  maggio 05 Lunedì calendario

IL RING DI GASTONE: SCARPE, SANGUE E SIMBOLI NEONAZI


Una scarpa da tennis insanguinata in mezzo a centinaia di fotografie e stampe di Andrej Tarkovskij, celebre regista e dissidente sovietico. È ciò che rimane del pomeriggio di follia di Daniele De Santis, meglio conosciuto come Gastone, il capo ultrà della Roma che sabato si è messo a sparare sui tifosi napoletani diretti verso l’Olimpico. Siamo a Tor di Quinto, periferia nord di Roma: qui Gastone gestiva un bar all’interno del centro sportivo Il Trifoglio, uno dei luoghi di ritrovo della destra neonazista romana.
Il suo volto è famoso per il derby del 21 marzo 2004, quello che non si è mai giocato. Gastone e gli altri capi ultrà della Sud, di concerto con i loro pari laziali, non fanno disputare la partita, disseminando la notizia falsa di un ragazzino ucciso da una camionetta della polizia. Sono passati dieci anni da quando ha paralizzato Roma la prima volta. Sabato decide per il bis. Forte di una mole da lottatore greco-romano e di un revolver in tasca, esce sulla strada principale, in viale di Tor di Quinto, e si mette a provocare gli ultrà, lanciandogli contro dei fumogeni. Quando questi reagiscono, estrae la pistola e spara. Una gruppo lo insegue per farsi giustizia.
Tra loro c’è anche Mimmo, il cugino di Ciro Esposito, il tifoso che sta lottando per sopravvivere al Policlinico Gemelli. Per ripercorrere l’inseguimento basta seguire la doppia traccia che Gastone e gli ultrà hanno lasciato a terra: sangue lui, bengala e petardi loro. Donatella Baglivo e il marito Ivan gestiscono una discoteca poco lontano, il Ciak Village. Tra i boati dei petardi non riconoscono i colpi di pistola, ma poco dopo si ritrovano Gastone, attorniato da un’orda di tifosi, davanti alla tensostruttura che ospita il locale: “Saranno stati almeno sessanta, lo stavano linciando. Per questo abbiamo provato a soccorrerlo”, racconta lei. Apre il cancello, che era stato chiuso con i sigilli dalla polizia a marzo, dopo un’inchiesta su un pestaggio avvenuto durante una festa. All’interno del locale chiuso c’è anche un’anziana signora di ottant’anni, che è andata a trovare i coniugi per ritirare un dvd su papa Roncalli. La furia degli ultrà non si ferma nemmeno davanti a questo. Raffaella reagisce: Minaccia l’arrivo imminente della polizia e riesce a farli scappare. “L’abbiamo trascinato dentro. Aveva il piede completamente spezzato: sembrava potersi staccare da un momento all’altro”. Per qualche istante sembra sia finita lì, invece c’è anche un secondo tempo. Gli ultrà si accorgono che di poliziotti in giro non ce ne sono e tornano, “questa volta ancora più numerosi. Hanno sfondato il cancello e sono entrati”. Riprendono a picchiare Gastone. Nella foga non si accorgono che a terra, vicino a lui, c’è la pistola: “L’ho raccolta e buttata nel secchio dell’immondizia”, racconta Raffaella. Ivan prova a intervenire, ma rimedia solo un paio di colpi alla testa. Donatella non sa più cosa fare, e per provare a farli smettere prova perfino a innaffiarli con la canna dell’acqua. Ovviamente è tutto inutile. Quando arriva la Digos (dopo mezz’ora, stando al racconto di Donatella) Gastone si è trascinato dentro, tra le fotografie di Tarkovskij ammucchiate per una mostra che non si terrà mai e i vecchi proiettori cinematografici che addobbano il locale. I titoli di coda arrivano insieme all’ambulanza, ma si fanno attendere: “Più o meno un’ora e mezza da quando è iniziato tutto”, spiega Ivan.
Il set di quello che sembra un film splatter è uno dei luoghi più assurdi della Capitale, una delle periferie raccontate da Gianfranco Rosi in Sacro Gra. Qui si alternano Reggimento di carabinieri a cavallo e roulotte di vecchie prostitute, il Tiro a segno nazionale e i camion che ogni mattina raccolgono i lavoratori a giornata.
Per trovare il bar di Gastone bisogna percorrere una lunga strada sterrata. È lo stesso comprensorio che ospita il Ciak Village, oltre a un club di paintball (il gioco in cui ci spara addosso delle palle di vernice), una famiglia rumena, qualche cartello della Protezione di civile, un vivaio e un’enorme gabbia piena di gatti. In fondo alla strada ci sono i campi da calcetto dell’associazione Il Trifoglio: è li che lavorava Gastone. È facilmente riconoscibile: fuori sventola la bandiera rossa, bianca e nera del Movimento sociale europeo, lo stesso gruppo neonazista che ha caricato la piazza di Albano Laziale il giorno dei funerali di Erich Priebke. Vedere dentro il locale è impossibile. Ieri un manipolo di estremisti faceva la guardia, e cacciava chiunque provasse ad avvicinarsi.

Tommaso Rodano e Alessio Schiesari, Il Fatto Quotidiano 5/5/2014