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 2014  maggio 07 Mercoledì calendario

CORREGGERE IL TIRO O RIPARTIRE DA ZERO


L’integrazione europea ha bisogno di più politica e di più democrazia. Altrimenti rischia di arenarsi, se non di affondare. È un punto di principio su cui Giuliano Amato ed Ernesto Galli della Loggia alla fin fine sembrano convergere. Ma arrivano a questa conclusione attraverso analisi molto distanti circa il percorso compiuto finora dalle istituzioni comunitarie e le ragioni della loro crisi. Proprio la profondità del dissenso rende particolarmente interessanti i due saggi dai quali è composto il volume Europa perduta? , con cui il Mulino inaugura la nuova collana Bianconero: una serie di libri a doppia firma, nei quali gli autori mettono a confronto le loro tesi su argomenti che li vedono in disaccordo. Mentre infatti Amato ritiene che l’Unione Europea, nonostante le difficoltà presenti, possa riprendere la sua marcia con alcune incisive riforme nel senso di una «maggiore integrazione», Galli della Loggia contesta alla radice l’ideologia europeista, che a suo avviso covava dentro di sé fin dai trattati di Roma del 1957 i germi della malattia esplosa di recente.
Secondo Amato l’origine della crisi comunitaria risale invece al 1992: al trattato di Maastricht e all’«autentica virata» che ne conseguì nei meccanismi di direzione del processo d’integrazione. Le competenze europee vennero ampliate, fino al punto d’istituire la moneta unica e la Banca comune, ma non furono trasferite alle istituzioni di Bruxelles, bensì affidate a un ipotetico coordinamento tra i governi nazionali, gelosi delle proprie prerogative. Quando la crisi finanziaria internazionale ha colpito l’eurozona duramente e in modo asimmetrico, fino a produrre una minaccia di bancarotta per i Paesi più indebitati, la finzione del coordinamento volontario è svanita: al suo posto è subentrata l’austerità imposta dall’alto, dolorosissima e anche poco efficace, nota Amato, visto che a placare (almeno per il momento) la bufera sui mercati è stata soprattutto la disponibilità della Bce a compiere interventi «illimitati» a difesa della moneta unica.
Il risultato è che il processo d’integrazione di trova attualmente schiacciato in quello che Amato definisce «un collo di bottiglia». Nei Paesi meridionali dell’Unione, flagellati dalla recessione, cresce il risentimento verso la Germania, che ha imposto le politiche restrittive; Berlino, dopo aver concesso prestiti ingenti, rinfaccia ai membri indebitati dell’Ue la loro incapacità d’introdurre le riforme necessarie per risanare strutturalmente i conti pubblici. Lo stesso futuro dell’euro rimane a rischio.
Galli della Loggia constata la medesima situazione, ma ne individua le origini ben più addietro nel tempo. A suo parere la crisi della moneta unica deriva da una stridente contraddizione insita nel progetto europeo come si è venuto configurando: il paradosso di «proporsi come presumibile obiettivo finale la nascita di qualcosa che assomigli a uno Stato, rifiutandone tuttavia per ragioni ideologiche i caratteri essenziali».
Impressionante l’elenco di lacune stilato da Galli della Loggia. L’Unione Europea non ha simboli forti, tant’è vero che sulle banconote dell’euro troviamo solo fredde figure architettoniche. Non ha un inno che si possa cantare, visto che quello adottato è un brano solo musicale di Beethoven. E d’altronde non ha neppure una lingua comune o almeno dominante, per cui non si vede come potrebbe svilupparsi una campagna elettorale a livello di Unione con un simile difetto di comunicazione. Inoltre non ha confini definiti una volta per tutte, handicap molto grave per una ipotetica politica estera e di difesa comune. Non ha del resto nessuna dimensione militare, perché la Comunità europea di difesa fallì nel 1954, mentre Londra e Parigi si tengono ben stretti i loro arsenali atomici.
Il fatto è, incalza Galli della Loggia, che una comunità politica, specie se democratica, può vivere solo in base a elementi identitari del tutto assenti nell’Unione Europea. Possiamo rispettare le leggi di uno Stato, pagare le tasse che c’impone, accettarne i governanti (pur avendo magari votato per i loro avversari), solo se sentiamo di appartenere allo stesso popolo degli altri abitanti: «Non si accetta mica dovunque di essere in minoranza». Ma nell’Ue oggi essere minoritari significa farsi comandare da Berlino, una prospettiva che nessun greco, italiano o portoghese può gradire.
Perciò la creazione dell’euro, secondo Galli della Loggia, si è rivelata un boomerang: attribuendo una funzione tipica dello Stato sovrano (battere moneta) a un’entità che uno Stato non è, ha svelato «l’incompatibilità rispetto alla democrazia politica del progetto europeo sviluppatosi nel corso dei decenni». Perciò «invece di unire ha diviso», ha risvegliato i nazionalismi caricandoli di rancore, poiché ha determinato una gerarchia tra i diversi Paesi, premiando i più efficienti e penalizzando gli altri.
Se ne può uscire? Amato indica un rimedio possibile nel modello americano: creare una «capacità fiscale» dell’Unione simile a quella del governo federale di Washington, con «risorse almeno pari al 3-4 per cento del Pil europeo», da impiegare per sorreggere le economie degli Stati membri impegnati nelle politiche di austerità. In prospettiva dovrebbe scaturirne «un autonomo bilancio della zona euro», che diventerebbe l’ancoraggio della moneta unica e la porrebbe «nelle condizioni del dollaro».
Passi del genere esigono però riforme istituzionali finalizzate all’integrazione politica. Amato per primo è consapevole di quanto l’impresa sia difficile, anche perché non tutti i Paesi dell’Unione hanno adottato l’euro, e traccia anche scenari alternativi, non necessariamente catastrofici. «Un’Europa a mezza strada che non muore e non brilla» gli appare tuttavia condannata al declino, mentre tutte «le convenienze razionalmente valutate» militano a suo avviso per una soluzione in senso federale.
Galli della Loggia non si esprime sulle proposte di Amato, ma osserva che le motivazioni negative (basate sulla considerazione che «sarebbe molto peggio se…») non risultano mai «particolarmente convincenti». E senza dubbio oggi come oggi le convenienze razionali, minuziosamente calcolate dagli esperti, suscitano parecchia diffidenza nel cittadino comune, che incontra difficoltà a comprenderle e teme sempre più, dopo tante amare esperienze, di essere ingannato dalle classi dirigenti.
Se quindi Amato rimane nel solco del pensiero europeista, sia pure condito con massicce dosi di realismo e pragmatismo, Galli della Loggia auspica invece un atto di rottura con «l’Europa delle élite» chiuse, conformiste e presuntuose. A suo avviso, bisogna chiamare quanto prima tutti i cittadini europei a decidere se l’Ue dev’essere un vero Stato federale, dotato di una piena sovranità e simile agli Usa, oppure una confederazione di Stati nazionali destinati a rimanere indipendenti.
Emerge così che la convergenza tra i due autori, di cui si parlava all’inizio, è tutto sommato solo apparente. Amato vuole più politica per rafforzare un processo già in corso, correggerne le storture, pilotarne dall’alto il cammino verso l’approdo federale, mentre la politica invocata da Galli della Loggia ha il volto del «potere costituente», della decisione popolare sovrana che crea una cesura con il passato e inaugura una fase del tutto nuova.