Massimo Franco, Corriere della Sera 7/5/2014, 7 maggio 2014
LE RIFORME VETRINA STANNO MOSTRANDO UN GOVERNO CHE SBANDA
Forse il governo non scricchiola ancora davvero. Ma sulla riforma del Senato, la falange di Matteo Renzi mostra sbandamenti che preoccupano. I contrasti dentro il Pd e con il resto della maggioranza stanno trasformando una delle pietre miliari della strategia del premier in una fonte di confusione e di incertezza. Silvio Berlusconi la fotografa, avvertendo che Forza Italia non voterà il testo preparato dal ministro Maria Elena Boschi. Il problema è che non lo vuole approvare nemmeno una parte del Pd nella Commissione Affari costituzionali. E così, ieri il ministro Boschi ha ventilato la possibilità che possa cadere il governo e si vada alle elezioni.
Palazzo Chigi ha smentito, assicurando che il sostegno ci sarà comunque. Ma Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera, in serata ha spedito un tweet nel quale dice a Renzi: «Sono stato facile profeta sulle riforme. Fidati di me. Andiamo a votare...». Difficile capire quale sarà la ricaduta finale di questa tensione. L’unica impressione nitida è che la soluzione proposta dalla Boschi incontra difficoltà insormontabili; e che l’irrigidimento del ministro di fronte alla possibilità di arrivare a un compromesso ha spinto i contrasti verso un punto di rottura pericoloso. L’ipotesi è che alla fine si troverà una soluzione, seppure ambigua.
Dovrebbe passare un testo che però non affronterà il punto controverso dell’elezione diretta dei senatori: uno di quelli che Renzi aveva definito tra i punti qualificanti della riforma. La stessa «scommessa» che il premier dice di voler fare con l’Europa, rea di avere ridimensionato l’impatto degli 80 euro distribuiti a fine maggio dal governo ai redditi più bassi, riflette un certo affanno. «In questi anni», si difende, «Bruxelles ha fatto il Fondo salva Stati, il Fondo salva banche. Bene: se il governo inizia a fare qualcosa per salvare le famiglie, i signori di Bruxelles se ne faranno una ragione».
Palazzo Chigi insiste di volere e potere seguire il percorso che si è dato. E replica alle critiche della Cgil di Susanna Camusso avvertendo, sbrigativo: «I sindacati devono capire che la musica è cambiata». Eppure, intorno a Renzi cominciano a vacillare alcune certezze. Il rischio della palude, dello stallo, è additato dai suoi seguaci come un elemento che dovrebbe far riflettere sull’opportunità di dimettersi. È come se i numerosi fronti aperti dal presidente del Consiglio in nome della sua «rivoluzione» cominciassero a mostrare resistenze impreviste; e perfino qualche crepa. L’esigenza di fare presto minaccia di imporre un prezzo politico alto in termine di compattezza della sua coalizione.
Lo spettro delle elezioni anticipate, per quanto faccia paura ai partiti, viene evocato troppo spesso per ottenere ubbidienza incondizionata. «Il caos del Senato non è dovuto a noi», si sfila un Berlusconi a caccia di voti europei e per questo non disposto a concedere nulla a Renzi. Lascia anche capire che «di fronte a un pericolo o a un disastro economico» sarebbe disposto a rientrare in una maggioranza col Pd. Ma declassa l’ipotesi a teoria, perché il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano è pronto a rinfacciare l’errore che avrebbe fatto a novembre uscendo dal governo di Enrico Letta e spaccando il Pdl. Berlusconi avverte la tentazione dell’astensione di molti elettori, e il potere di attrazione di Beppe Grillo. «Dietro Grillo», insiste, «non c’è nulla: solo il pericolo di una dittatura». Con le loro convulsioni, però, i partiti finiscono per lavorare per lui.