Dario Di Vico, Corriere della Sera 7/5/2014, 7 maggio 2014
LA RIBELLIONE DELLA CAMUSSO
Con l’accusa rivolta al governo di distorcere la democrazia ieri a Rimini si è consumata la rottura tra la Cgil e il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Non si può certo dire che si tratti di un fulmine a ciel sereno perché sin dal suo insediamento il premier non aveva fatto mistero di voler mettere in discussione il potere dei sindacati ma da una sede formale, come il congresso nazionale della Cgil, la risposta non poteva essere più secca. È vero che Susanna Camusso nel suo lungo discorso (un’ora e mezzo) è stata attenta a non eccitare la platea contro Palazzo Chigi, però ha riproposto per numerose volte il totem della partecipazione contro la verticalizzazione impressa alla politica italiana dal Rottamatore. I delegati al congresso, dal canto loro, erano disposti a scoprirsi ancora di più e infatti i leader di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, intervenuti nel pomeriggio hanno ricevuto i maggiori consensi quando hanno preso di petto Renzi con battute del tipo «chi va piano va sano e non va a sbattere» e «noi c’eravamo quando sei arrivato e ci saremo quando te ne sarai andato». Una frase che il direttore del New York Times del tempo rivolse nientemeno che a Ronald Reagan!
La contesa di Camusso con Palazzo Chigi non si è limitata ai temi della cultura politica della sinistra e del rapporto tra istituzioni e rappresentanza, ha investito anche le scelte di merito del governo. La Cgil ha confezionato per il suo congresso una sorta di agenda alternativa fatta di quattro priorità (pensioni, ammortizzatori sociali, lavoro povero e Fisco) che conta di trasformare in altrettante vertenze. E visto il seguito parlamentare di cui il maggiore sindacato italiano gode a Montecitorio equivale a un’altra mezza dichiarazione di guerra. Ma al di là della possibile guerriglia parlamentare l’impressione è che Renzi abbia scelto di contrapporsi frontalmente al sindacato («la musica è cambiata, meno permessi e pubblichino le spese online» ha replicato in serata) perché la giudica una scelta vincente anche dal punto di vista elettorale. La scommessa contenuta nel suo «i sindacati non mi fermano, andrò avanti», ribadito nell’intervista rilasciata al Corriere domenica scorsa, è che in qualche maniera la società dei non garantiti e dei Brambilla guardi con favore a lui come al castigamatti dello strapotere sindacale. Si tratta di un cambiamento epocale rispetto alla recente stagione di Pier Luigi Bersani e della piena consonanza tra Pd e Cgil, una discontinuità che Renzi spera possa essere apprezzata in alcune aree del Nord e del lavoro autonomo. Se ciò dovesse avvenire si accentuerebbe la differenza, che già oggi si può registrare, tra il perimetro del consenso di cui gode il premier e la tradizionale constituency del suo partito.
Gli elementi di scomposizione di quello che una volta era il compatto universo della sinistra italiana non riguardano solo la dialettica estrema tra sindacato e partito ma anche la forte polemica avviata dalla Cgil nei confronti delle Coop e ribadita a Rimini. Di mezzo c’è la figura di Giuliano Poletti che Camusso chiama in causa sempre più spesso sia come ministro per le scelte di «ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro» sia come ex presidente della Lega per non aver saputo arginare il fenomeno delle cooperative illegali.