Umberto De Giovannangeli, l’Unità 7/5/2014, 7 maggio 2014
ASSAD CANDIDATO IN SIRIA, È SOLO UNA TRAGICA FARSA
[Ahmad Jarba]
«Una farsa. Una tragica farsa, messa in scena da un dittatore che ha trasformato la Siria in un Paese di sfollati. Ora questo stesso dittatore vuole darsi una patina di legittimazione organizzando sulle macerie del Paese elezioni truffa. Quella di Bashar al-Assad è l’ennesima sfida lanciata al popolo siriano e alla comunità internazionale. Dopo oltre tre anni di guerra, in Siria non esiste oggi un corpo elettorale in grado di esercitare il suo diritto di voto. Il 3 giugno sarà un giorno di lutto nazionale per il mio Paese».
A sostenerlo è Ahmad Jarba, il leader della Coalizione nazionale siriana (Cns), il cartello più rappresentativo delle forze di opposizione al regime di Bashar al-Assad. Jarba accusa anche le forze del regime di essere colluse con i gruppi più radicali e sanguinari jihadisti, come l’Isis, che operano in Siria: «Ad Assad – dice Jarba a l’Unità – fa gioco presentarsi al mondo come l’unico argine alla barbarie jihadista. Quei gruppi sono parte attiva in questo gioco, e non è un caso che l’esercito di Assad non abbia riservato loro quell’attenzione che invece concentra sull’Esercito libero siriano (legato alla Cns, ndr). Quella di Assad è una scelta politica prima che militare».
Il 3 giugno il governo siriano ha indetto le elezioni presidenziali, alle quali è candidato Bashar al-Assad. Per il governo è il segno di un ritorno alla normalità. E per l’opposizione di cui lei è leader?
«È l’ennesima provocazione di un dittatore senza scrupoli. Assad ha ridotto in macerie la Siria e su queste macerie vorrebbe ora orchestrare elezioni-farsa. Come si può parlare di libere elezioni in un Paese che conta oltre 5 milioni tra sfollati e rifugiati, segnato da una guerra che ha provocato oltre 140mila morti e decine di migliaia di desaparecidos, con le carceri piene di oppositori e altri costretti all’esilio. Questa è la “normalità” per Bashar al-Assad. Questa è la sua risposta al protocollo di Ginevra che indicava una road map per la riconciliazione nazionale che passasse per l’uscita di scena del dittatore. Ora è ancor più chiaro chi ha boicottato “Ginevra1” e “Ginevra2”: il regime non aveva alcuna intenzione di concordare tempi e modi di una transizione condivisa, che per essere tale non poteva prevedere un ruolo da protagonista di colui che si è macchiato di gravi e accertati crimini contro l’umanità. Quella lanciata da Assad e dal suo clan non è solo una sfida al popolo siriano, è anche una sfida al mondo libero, alla comunità internazionale».
C’è chi sostiene che l’opposizione ha paura delle urne.
«Nessuna paura. Siamo i primi a volere elezioni davvero libere, garantite da osservatori internazionali. Ma ciò non è possibile oggi in Siria. Non esistono le condizioni minime per un confronto democratico. Interi villaggi sono stati rasi al suolo, milioni di siriani sono stati costretti ad abbandonare le loro case, oggi in Siria non esiste un corpo elettorale in grado di esercitare il proprio diritto di voto. Quelle volute da Assad non sono elezioni truccate, sono qualcosa di peggio: sono elezioni insanguinate. Ma se Assad ha lanciato questa sfida è anche perché queste elezioni farsa sono il risultato del silenzio del mondo verso i massacri quotidiani compiuti dal regime con l’uso di armi chimiche e di “barrel bombs” (barili di petrolio imbottiti di esplosivo, granate, chiodi, lanciati dagli elicotteri, ndr) che hanno provocato la morte di centinaia di bambini e di donne. Un dittatore impunito si sente pronto a nuove provocazioni, con il sostegno attivo, finanziario e militare, dell’Iran, e politico da parte della Russia. Senza questo sostegno, il clan Assad sarebbe crollato da tempo».
Lei è impegnato in una serie di incontri internazionali nelle capitali dei Paesi più direttamente impegnati nella crisi siriana, in particolare Mosca e Washington. Recentemente è stato anche a Bruxelles, per incontri con la dirigenza dell’Unione Europea. Chiedete solo un sostegno politico?
«Non solo questo. Chiediamo anche armi, non un intervento militare diretto. Abbiamo bisogno di armi specifiche per abbattere gli aerei del regime. Quando le forze aeree di Assad saranno neutralizzate la situazione cambierà ed evolverà. Non da oggi sono convinto che la soluzione alla tragedia siriana sia politica e non militare. Ma di fronte a un regime che conosce e pratica solo il linguaggio della forza, un riequilibrio dei rapporti sul campo è condizione imprescindibile per un vero negoziato politico».
Persone crocifisse. Esecuzioni sommarie di prigionieri filmate e trasmesse su Youtube. Sono le imprese del gruppi jihadisti presenti in Siria che hanno inorridito il mondo.
«Chi si macchia di quei crimini atroci è nemico del popolo siriano e fa il gioco del regime, con cui alcuni di questi gruppi sono collusi. Nella nuova Siria che vogliamo costruire non c’è spazio per questi barbari. Siamo i primi a combatterli. Ma la presenza di questi gruppi è il portato della scelta compiuta tre anni fa da Assad: reprimere nel sangue la rivolta di un popolo che chiedeva, in sintonia con le altre “Primavere arabe” libertà, giustizia, libere elezioni. Se allora si fosse scelta un’altra strada, se si fosse dato ascolto a quelle istanze che provenivano dal basso, dalla società civile, non saremo oggi a piangere un Paese martirizzato. Chi allora scelse il pugno di ferro è conosciuto al mondo: Bashar al-Assad».