Michela A. G. Iaccarino, La Stampa 4/5/2014, 4 maggio 2014
È BATTAGLIA A DONETSK. IL CREMLINO: MILIZIE ORMAI FUORI CONTROLLO
«No, Odessa ne prostim», Odessa non ve la perdoniamo. Chi muore sul mar Nero verrà vendicato in questo pezzo di terra, nel Donbass. Se Kiev ha perso il controllo del sud est, Donetsk sta per perdere il controllo di se stessa: la folla attraversa ogni strada del centro per sventagliare l’eco macabro di parole che promettono vendetta. Rilasciati ieri mattina senza condizioni i 12 osservatori Osce, hanno raccontato di essere stati prigionieri per i primi due giorni in una cantina, legati, bendati e sempre sorvegliati. «Ma stanno bene», dice il segretario generale Osce Lamberto Zannier.
Chiuso questo capitolo, è Odessa - la pagina nuova. «Non ve la perdoniamo», i ritornello dei filo russi. Ed è caccia ad ogni vessillo, simbolo, targa del potere ucraino che è diventato in poche settimane emblema dell’autorità fascista dell’Ovest e che qui, piuttosto morire, non metterà mai piede. Uno dopo l’altro cadono le icone che facevano di questo un solo paese unito.
I fogli con l’elenco delle vittime scintillano mentre bruciano sulle schegge dei vetri rotti di una delle ultime sedi del Sbu, servizi segreti ucraini della città, occupata ieri. Il resto di Donetsk è una fiamma di 43 candele, una per ogni morto perché no, «Odessa non ve la perdoniamo» e il rogo sul mar Nero diventa falò di libri per cancellare e riscrivere gli ultimi anni di storia col fuoco qui nel sud est.
Si allontana per sempre, qui oggi a Donetsk, il punto di convergenza che poteva esserci tra gli assi di Mosca e Washington: è Mosca stessa ad ammettere che i suoi gruppi di autodifesa sono fuori controllo. «Assurdo parlare di presidenziali dopo quello che è successo a Odessa», dice il portavoce di Putin Dmitri Peskov. Ed è lui a dire che Mosca «non sa come rispondere alla crescente violenza nell’Ucraina sudorientale» da dove - prosegue - arrivano «migliaia di richieste che sono una grido di disperazione, una preghiera di aiuto».
Donetsk è un animale unico a capo coperto da un passamontagna per i giovani, fazzoletti di stoffa per le babuske che incitano alla rivolta. Come un animale solo si muove di strada in strada in balia di un’anima sola che schiaccia le altre. Le bandiere issate col tricolore della Repubblica Popolare procedono il sacco di ogni edificio, svuotando edifici già vuoti di addetti ai lavori e forze dell’ordine: c’è chi porta a casa un souvenir della giornata che entra in tasca, chi un computer, chi brinderà con lo champagne rubato dagli uffici del palazzo del governatore imposto da Kiev, l’oligarca Taruta. Su tutti i muri, dentro e fuori, scrivono: Odessa non ve la perdoniamo. Come se il Pravij Sektor, la Timoshenko, gli ultras di Maidan, Serhiy Pashinsky, portavoce governativo che attribuisce la colpa del massacro ai servizi segreti di Mosca, potessero arrivare fin qui a leggere. Violenze «coordinate da sabotatori dalla Russia», è la linea dell’Sbu che accusa anche «milizie venute dal territorio della Transnistria». La prima a sfondare con i computer e i faldoni di documenti tutte le finestre del primo piano dell’ufficio è l’infermiera Olga, 50 anni: quadri di migliaia di grivne volano tra le schegge dei vetri. «Quel porco fascista viveva in questo lusso, ma questi li ho pagati io con il mio sudore, con la mia pensione». Sono i giovanissimi in passamontagna a doverla fermare. Ognuno dei giovanissimi filorussi adesso è di guardia in ogni palazzetto occupato, ognuno alfiere e padrone di una torretta di questa città scacchiera, dove sono rimasti solo pezzi di un solo colore. Mentre Vasili Krutov, a capo delle operazioni delle forze armate, dichiara che ha il pieno controllo del territorio, i check point dei filorussi rimangono al loro posto. A Slaviansk l’assedio continua, a Kramatorsk, preso il controllo di un’altra torretta televisiva per trasmettere il segnale russo vietato da Kiev, carcasse di autobus e auto bruciate sono quello che rimane nelle strade dopo gli scontri. La vecchia sede comunale è un nuovo laboratorio di molotov. Tatjana, 4 denti d’oro, 45 anni, parla di 25 feriti e dieci morti nella notte. Dietro di lei una ragazza della metà dei suoi anni è a capo di una squadra addetta a preparare molotov: prima il polistirolo si fa in pezzi, poi si scioglie con l’alcol nelle bottiglie, poi si infila il fazzoletto bagnato. E nella notte si tira.
Michela A. G. Iaccarino, La Stampa 4/5/2014