Giacomo Poretti, La Stampa 4/5/2014, 4 maggio 2014
LA SVIZZERA NEL GIOCO DEI QUATTRO CANTONI
Alla fine del mese di maggio saremo chiamati alle urne per rieleggere i nostri rappresentanti al Parlamento europeo.
Quale migliore occasione per conoscere meglio i paesi che compongono l’Unione? Cominceremo da quelli a noi confinanti, e curiosamente toccherà ad un paese che della Ue non gliene potrebbe fregare di meno: la Svizzera.
Paese antichissimo che già era menzionato dai cartografi assiro-babilonesi e che indicavano come il Paese dello skilift; infatti fin dal 2600 a.C. la Svizzera era meta di pellegrinaggio per le sue pericolosissime piste nere: i carovanieri si sistemavano ai bordi delle piste da sci per ammirare gli autoctoni che si scapicollavano a velocità impressionante con dei tronchi di larice legati sotto i piedi.
La storia della Svizzera è legata sostanzialmente all’evoluzione di quegli arnesi che solo dopo la Controriforma vennero chiamati sci.
Il passaggio successivo dai tronchi di larice, che vennero abbandonati non tanto per la scomodità nel calzarli, ma perché erano considerati poco competitivi, il passo successivo fu l’utilizzo di porte blindate saldate sotto i piedi dello sciatore: veri precursori del carving, i designers dei Grigioni con la porta blindata al posto dello sci inventarono il primo oggetto multifunzionale dell’era moderna: dalle 9 alle 13 slalom gigante a St. Moritz, dalle 15 alle 18 la porta si trasformava in zattera per una gita sul lago di Lucerna, alle 21 ritornava sui cardini di casa a proteggere la sicurezza del cittadino.
La Svizzera deve la sua fortuna, oltre che allo sci, agli orologi: il proverbio «puntuale come uno svizzero» probabilmente trae origine da un’antichissima tradizione per cui fin dall’asilo i bimbi rossocrociati venivano istruiti alla costruzione di un giocattolo chiamato meridiana, che vendevano alle popolazioni delle valli note in tutto l’arco alpino per i loro irritanti ritardi. Infatti essi si estinsero, perché arrivavano in ritardo a pranzo e a cena, quando era già tutto sparecchiato; arrivavano in ritardo nel letto quando la moglie li esortava al dovere coniugale: e soprattutto erano in ritardo per i check up: prendevano l’appuntamento quando ormai non c’era più nulla da fare. A nulla valse l’aiuto dell’ingegneria svizzera a salvare i più antichi insediamenti orobici, perché, diciamolo, era disagevole portare una meridiana al polso, così i nostri antenati finirono per non comprendere l’importanza del tempo e questa superficialità li spinse nell’oblio della Storia. L’apparente sconfitta della meridiana da polso in realtà costituì un passaggio fondamentale per l’industria orologiera. Gli insegnanti fecero autocritica e modificarono l’approccio: durante una lezione di applicazioni tecniche la leggenda vuole che un paio di studenti non proprio dotati, dopo aver consumato una merenda a base di pane di segale e pflummely (grappa di prugna), inventarono l’orologio a cucù. L’oggetto che segnalava l’ora con un uccello che usciva dalla casetta starnazzando come un’oca ubriaca generò un effetto di isteria collettiva in tutta l’Europa: diventò un must a cui nessuno voleva rinunciare. Sei mesi dopo l’uscita del prototipo, le autorità di Berna annunciarono l’uscita del Cucù.2: si segnalarono code a tutti i trafori 3 giorni prima che fossero messi in vendita. L’esportazione di questo infernale oggetto procurò una fortuna colossale al governo elvetico, che decise di finanziare le proprie aziende per scoprire altri importanti brevetti. Gli scienziati rossocrociati estrassero dal taschino 2 scoperte che avrebbero modificato la storia dell’Occidente: il cioccolato e l’apertura di conti correnti con nomi d’invenzione.
Essendo la Svizzera un Paese non lambito dal mare e dunque impossibilitato a far attraccare le navi provenienti da Oriente o dal Sud America cariche di cacao, si cercò di produrlo in laboratorio, ma, dopo che i primi assaggiatori morirono a causa di persistenti flatulenze, la diplomazia intavolò trattative con i governi andini per il commercio della polvere di cacao: in cambio di un orologio a cucù le autorità di Berna riuscirono a strappare un quintale di cacao. Evidentemente approfittarono della necessità delle popolazioni del Sud America che volevano liberarsi di quella polvere che procurava loro carie e brufoli. Un classico esempio di furbizia commerciale. Ovviamente l’azienda dolciaria svizzera attraverso il cioccolato era consapevole di esportare brufoli e flatulenza, aggiungeremmo noi: perfidamente consapevole.
Come non pensare che la Svizzera operi un programma di integrazione, supporto e difesa delle sue aziende, molto poco propensa alla globalizzazione delle sue intuizioni? Forse per questo non soffre la mancanza della moneta unica e, invece che mandare i suoi rappresentanti a Strasburgo, preferisce starsene tra i suoi 4 cantoni (era per dire, lo so che sono 26).
Giacomo Poretti, La Stampa 4/5/2014