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 2014  maggio 04 Domenica calendario

“ITALIA PRONTA A INTERVENIRE IN UCRAINA”

[Intervista al ministro Pinotti] –

Di fronte a quello che sta accadendo non possiamo e non vogliamo solo stare a guardare». È questa la premessa di Roberta Pinotti, ministro della Difesa italiano, riguardo all’escalation della guerra civile in Ucraina. Per ricondurla sui binari della diplomazia l’Italia getta per prima sul tavolo una proposta per raffreddare la crisi.
«Se dovesse servire - dichiara il ministro Pinotti - l’Italia è disponibile anche ad inviare un contingente di peacekeeper».
Ministro, molti italiani temono in queste ore di essere alla vigilia di un nuovo conflitto europeo. Siamo a questo punto?
«La situazione è molto preoccupante e il governo non la sottovaluta. Non penso siamo alla vigilia di una guerra europea. Detto questo — e ne ho parlato anche con il ministro degli Esteri — non possiamo stare a guardare. Certo, senza agire da soli, ma attraverso l’Onu, la Nato e l’Unione europea».
Si potrebbero inviare delle forze di interposizione?
«Anche la Russia ha ammesso che i rivoltosi sul campo sono sfuggiti a ogni controllo. Noi italiani, insieme alla Germania, abbiamo finora lavorato per evitare che le sanzioni alla Russia dessero adito a una escalation difficile da controllare. Noi siamo disponibili a fare di più».
Caschi blu italiani?
«Nessuno ha avanzato questa richiesta, ma se dovesse servire dobbiamo essere disponibili anche a questo. Non dimentichiamoci che nel 2006 l’Italia è stata protagonista, in occasione della guerra tra Israele e Libano, inviando un forte contingente di interposizione. I nostri militari
sono lì, fanno il loro dovere e da allora non ci sono stati più scontri. Recentemente ho incontrato le autorità libanesi che ci hanno ringraziato e ci chiedono di rimanere».
Ci dobbiamo preparare dunque a una nuova missione?
«Ancora non siamo a questo, parlare di invio di peacekeeper è prematuro, ma dobbiamo essere pronti. Al momento il nostro sforzo politico e diplomatico è quello di tornare indietro allo spirito dell’accordo di Ginevra».
Mai un sistema d’arma aveva infiammato il dibattito politico nel paese come il nuovo caccia F-35. Bisogna risalire alle manifestazioni degli anni Ottanta contro i missili Cruise e Pershing per ricordare un’ondata simile di opposizione. Comemai?
«In Italia, purtroppo, c’è ancora poca “cultura della difesa”. Per molti non è ancora chiaro che Difesa non significa voglia di aggredire. Difendersi significa proteggersi. E per farlo a volte occorrono anche delle armi sofisticate. Armi in grado, per esempio, di distruggere in sicurezza, da lontano, una base per prevenire il lancio di un missile contro obiettivi italiani.
Vanno bene le critiche, a patto di guardare cosa succede in Libia, in Siria, in Ucraina. I conflitti intorno a noi, purtroppo, esistono».
F-35 perché? È costoso, il software è tutto americano, non funziona bene. Le critiche tra gli esperti di difesa si sprecano. E non parliamo di pacifisti...
«Ogni sistema ha bisogno di tempo per essere sviluppato. Certo oggi questo aereo sembra diventato il simbolo del male, ma mi sembra che ciò sia dovuto soprattutto alla campagna elettorale in corso. Come se lo avessimo scoperto adesso! Il programma del nuovo caccia parte nel 1998 e sarà portato a compimento soltanto nel 2030. Ma prima di parlare di F-35, di quanti ne dobbiamo acquistare, noi abbiamo deciso di partire da un approccio nuovo, il Libro Bianco: ci dirà quali minacce dovrà affrontare l’Italia e quali mezzi di difesa serviranno».
Intanto si è parlato di un dimezzamento, da 90 a 45, del piano di acquisto degli F-35.
Conferma?
«Non confermo e non smentisco, semplicemente ribadisco che non sarebbe serio dare numeri ora. Non escludo che il JSF si possa ridurre, lo hanno già fatto altri Stati. Servono tuttavia analisi strategiche su cui basare le nostre esigenze, non possiamo parlare solo di tagli perché forse producono consenso».
Tagli alle spese militari comunque ne farete?
«Il Sipri — Stockholm International Peace Research Institute — ha fatto un’analisi della spesa militare degli ultimi dieci anni ed è venuto fuori che l’Italia ha ridotto il suo budget del 26 per cento, contro un 6,4 della Francia e il 2,5 della Gran Bretagna. Possiamo ancora ridurre. Da qui al 2024 gli effettivi passeranno da 190 a 150 mila, i civili da 30 a 20 mila, ci sarà una riduzione del 30 per cento degli ufficiali. Abbiamo individuato oltre 380 caserme da chiudere e 1500 cespiti militari da mettere a disposizione della comunità. Nessuna altra amministrazione ha fatto altrettanto».

Francesco Bei, la Repubblica 4/5/2014