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 2014  maggio 04 Domenica calendario

“IO, IL GIORNALISTA DAI MILLE VOLTI COSÌ HO SMASCHERATO I FAST FOOD TEDESCHI”

[Intervista a Günter Wal-lraff] –
Carne marcia, cucine in condizioni igieniche da terzo mondo, lavoratori sfruttati. Ecco la realtà quotidiana in molte filiali Burger King in Germania, come rivelato da un’inchiesta televisiva per il canale Rtl realizzata dal più celebre dei giornalisti investigativi europei, Günter Wal-lraff, che da decenni si traveste — da turco, da africano, da operaio assunto sottocosto, da homeless — per denunciare, spesso con l’ausilio di una telecamera nascosta, le tante ingiustizie nel “migliore dei mondi”, come ha chiamato con feroce ironia il suo paese in un libro di qualche anno fa. Anche questo suo ultimo reportage ha scatenato una vera e propria bufera, costringendo uno dei più noti colossi nel campo del fast-food a chiudere in fretta e furia due delle sue filiali in Germania.
Signor Wallraff, cosa avete scoperto con la vostra inchiesta?
«La Yildiz (l’azienda che gestisce quelle filiali di Burger King in franchising, ndr ) ha emesso una precisa direttiva, secondo cui non deve essere gettato via più dello 0,2 per cento dei cibi e di usare tutto il resto anche se è in condizioni disgustose. Abbiamo visto e filmato cibi deteriorati in modo nauseante, contenevano colibatteri e altri batteri dannosissimi per l’apparato digerente. Abbiamo raccolto prove di casi di ospiti finiti in ospedale. Insomma, come la carne sulla Potemkin. Abbiamo anche visto e filmato filiali senza detersivi né lavastoviglie funzionanti. I dipendenti dovevano persino servire cibo anche se era caduto in terra. In più, i ritmi di lavoro nei Burger King sono disumani».
È riuscito a mettere Burger King all’angolo... come ha fatto?
«Ho infiltrato i miei collaboratori in alcuni loro ristoranti. Abbiamo visto e filmato. Ora vedremo se le cose cambieranno davvero. In questo momento loro temono la reazione dei consumatori. Se non garantiranno maggiore igiene rischiano di chiudere i battenti, ma, come le dicevo, le orribili condizioni di lavoro sono l’altro grande problema del colosso».
Si spieghi meglio...
«Dietro le quinte c’è chi fa mobbing coi dipendenti, li minaccia se sono in malattia, se hanno genitori da accudire o vogliono fondare una cellula sindacale o magari criticano ritmi o igiene. Un quinto dei dipendenti delle filiali in franchising è stato minacciato. È stato inventato un sistema che loro chiamano “licenziamento dei non licenziabili”. Alcuni per la disperazione sono finiti in clinica psichiatrica. L’ideatore di questo sistema l’ho intervistato senza che lo sapesse, nel suo studio. L’ho smascherato».
Come ha fatto?
«Mi sono travestito da anziano imprenditore deciso a vendere la sua azienda a investitori americani senza scrupoli, chiedendogli aiuto. Purtroppo la tendenza a frodi e ingiustizie purtroppo è in aumento: lo constato con l’apposito ufficio anti-frode che ho fondato, Work Watch. A volte vinciamo minacciando di rendere tutto pubblico in tv se non vengono instaurate condizioni di lavoro giuste. Spesso gli sfruttati sono migranti, costretti ad accettare ogni lavoro».
Come ha avuto l’idea di indagare su Burger King?
«Ho voluto tornare all’inizio del mio lavoro, quando andai in catena di montaggio dopo che là mio padre si era rovinato la salute. A Rtl ho creato un piccolo, ottimo staff di giovani giornalisti. Propongo io i temi, sulla base di denunce di cittadini. Rtl rischia di perdere pubblicità, appoggiandomi, ma mi lascia lavorare. Ho ricevuto denunce anonime di dipendenti, e via col lavoro, molto cospirativo».
Che cosa accadrà ora?
«Vedremo. Non sarebbe neanche giusto se tutti ora andassero da McDonald’s. Là lavorai anni fa travestito da turco. Grazie alla mia denuncia ci furono subito migliori condizioni igieniche, ma solo molto lentamente si ottenne un miglioramento di diritti e delle condizioni di lavoro dei dipendenti. Spero che Burger King cambi nel complesso, ma forse dovrò tornarci travestito tra un anno. In generale, sensibilità dei consumatori e dei lavoratori sui loro diritti, e coscienza sociale, è molto cresciuta, anche grazie a Internet».
Quale dei suoi tanti travestimenti fu più pericoloso?
«Quando mi travestii da oppositore greco contro la dittatura dei colonnelli: fui imprigionato e torturato. Volevo documentare la repressione. Sono un pessimista che s’impone ottimismo rischiando. Ho sempre avuto fortuna. Io, agnostico, devo stare attento a non divenire credente cominciando a pensare che Dio mi protegga».

Andrea Tarquini, la Repubblica 4/5/2014