Emiliano Guanella, La Stampa 3/5/2014, 3 maggio 2014
URUGUAY, LA MARIJUANA DI STATO È UN BUSINESS PER IL TURISMO
Da un po’ di tempo, se cammini lungo l’Avenida 18 de Julio, la principale arteria nel centro di Montevideo, ti capita di incrociare ragazzi, e non solo, con lo spinello in mano. Stesso scenario sulla bellissima rambla, chilometri di passeggiata che costeggiano il Rio de la Plata o nei parchi vicino al mitico stadio Centenario.
Non è un caso: l’Uruguay è il primo Paese al mondo ad avere legalizzato completamente il consumo di marijuana, andando oltre qualsiasi esperimento anti-proibizionista esistente finora. I promotori della legge ci tengono a dire che la parola corretta è regolarizzazione, ossia lo Stato come organo di controllo su tutte le fasi del sistema-cannabis; produzione, distribuzione, consumo. Una norma pensata in primis per rimediare a una sorta di assurdo giuridico, già che l’uso di qualsiasi tipo di droga è legale in Uruguay dal 1974, ma veniva condannata la compravendita e la produzione. «Potevi fumare – racconta Juan su una panchina del Parque Rodò – ma non portare con te marijuana; si finiva in un commissariato con uno spinello e se ti trovavano una pianta in casa ti accusavano di narcotraffico».
La legge prevede tre forme per accedere alla sostanza, ognuna delle quali regolata da un apposito album: acquistarla in farmacia, fino a un massimo di 40 grammi al mese, coltivarla in casa (fino a 8 piante ciascuno) o l’iscrizione a un club che potrà avere fino a 40 membri e coltivare un totale di 99 piante.
Quest’ultima è la strada scelta dai cugini Martin e Damian Colazo, studenti universitari; il primo presiede un «club del fumo» e si è fatto anche una certa cultura sull’uso, la diffusione e le terapie a base di canapa, il secondo ha prestato il giardino di casa, che ospita ora piante alte più di un metro. «La proibizione alla marijuana – spiega – è stata una scelta politica imposta dagli Usa al mondo intero fin dagli Anni 30. Qualcuno doveva iniziare a rompere questo paradigma, sono felice che sia successo nel mio Paese». Ma non tutti la pensano così in Uruguay. «Le novità – ribatte Damian – impauriscono, ma la lotta alla droga pensata com’è adesso, senza distinzioni fra le sostanze, non ha senso. La polizia persegue i consumatori di marijuana mentre i grandi narcotrafficanti uccidono con le droghe pesanti».
C’è anche, nel frattempo, chi si è ritagliato una nuova professione; Federico Diaz ha aperto un anno fa Media Grow, un piccolo negozio che è diventato un punto di riferimento per gli amanti della marijuana in città. Dal bancone o online aiuta gli aspiranti coltivatori e mostra con orgoglio le sue costruzioni; guardaroba attrezzati di lampade, timer e ventilatori per far crescere la pianta imitando l’habitat naturale. Una volta all’anno partecipa con il fiore migliore della sua raccolta alla Coppa Cannabica, un evento finora semi-clandestino che richiama cultori della marijuana da tutto il Sudamerica. «L’edizione 2014 - assicura- sarà una festa».
Molte, però, le voci contrarie. Si oppongono alla nuova legge, ad esempio, alcune associazioni di recupero di tossicodipendenti che sostengono la teoria dello spinello come primo passo per il consumo di sostanze più pericolose, come la cocaina e soprattutto la pasta base o crack, molto diffusa fra i ragazzi delle periferie. «La marijuana legale e accessibile - spiegano alla Fundación Manantiales - può diventare una moda pericolosa fra i giovani. Il governo non ha posto la giusta attenzione sui pericoli per la salute della sostanza». Anche l’associazione dei chimici farmaceutici è contraria; i suoi dirigenti hanno chiesto, minacciando il ricorso all’obiezione di coscienza, che la marijuana sia venduta come prodotto non farmacologico, come uno shampoo o un pacchetto di pannolini. Il presidente José «Pepe» Mujica ha difeso la legge in un’ottica di lotta al narcotraffico, ma ha voluto anche porre l’attenzione su un aspetto, per così dire, qualitativo. Quasi tutta la marijuana che si consuma nel Cono Sud viene dal Paraguay ed è spesso pressata e di pessima qualità; la produzione «made in Uruguay», che dovrà passare al vaglio dello Stato, sarà invece completamente organica e, sulla carta, meno dannosa. La prima raccolta indoor sarà disponibile verso metà anno: già si prevede dalla vicina Argentina o dal Brasile un flusso di «turisti del fumo», che dovranno comunque ricorrere ad amici residenti in Uruguay per potersi rifornire. Senza bisogno di chiudersi in un coffeshop e con lo Stato a regolare la partita, Montevideo si prepara così a diventare una nuova Amsterdam a cielo aperto.
Emiliano Guanella, La Stampa 3/5/2014