Luca Fornovo, La Stampa 3/5/2014, 3 maggio 2014
I DISOCCUPATI CALANO IN EUROPA MA NON IN ITALIA
La disoccupazione resta il nemico numero uno dell’Italia. A marzo il ritmo di crescita dei senza lavoro è stato tra i più veloci (dal +12 di marzo 2013 a +12,7%) in Europa, dopo Cipro e Olanda. Mentre i giovani (under 25) sono schizzati al 42,7%, contro la media del 23,7% nell’Eurozona.
I dati Eurostat di ieri certificano in pieno quello che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha definito «l’allarme lavoro», una priorità nazionale su cui il governo dovrà accelerare per fare riforme e favorire nuovi posti di lavoro. Esaminando in profondità i dati Eurostat, con le elaborazioni della Fondazione Hume, emerge chiaramente quanto sia difficile per l’Italia stare al passo con gli altri Stati sul mercato del lavoro. Nell’ultimo anno, come mostra il grafico in alto, risultano 194 mila i disoccupati in più nel nostro Paese, mentre l’Eurozona ha invertito la marcia e il numero dei senza lavoro è stato drasticamente ridotto: 312 mila in meno (tasso di disoccupazione al 12%. Per non parlare dell’Europa a 27: quasi un milione in meno (945 mila per la precisione) di disoccupati. I problemi del nostro mercato del lavoro, secondo gli economisti sono tanti: è più rigido che in altri Paesi, siamo in ritardo con le riforme strutturali e molte aziende dovranno ridurre la cassa integrazione prima ancora di assumere. Insomma ci vorrà tempo prima di vedere scendere la disoccupazione. «Guardando al passato con la recessione del ’92-93 ci sono voluti quasi dieci anni per tornare ai livelli di occupazione prima di quella crisi» ragiona Stefania Tomasini, responsabile per Prometeia di analisi e previsioni sull’economia italiana.
Ma il problema principale, che fa la differenza con il resto del Vecchio Continente, a detta degli esperti, è la crescita. Negli altri Paesi europei è più robusta e permette di creare più posti, mentre in Italia il Pil viaggia da troppo tempo sotto lo zero e ora poco sopra. «Se il Pil dell’Italia crescerà dell’1-1,5% potremmo recuperare – stima l’economista di Prometeia – lo 0,6-0,7% dell’occupazione all’anno. Per vedere un’inversione di tendenza, un punto di svolta con una riduzione, seppure lieve della disoccupazione, bisognerà attendere l’inizio del 2015».
Punta il dito sulla crescita, come panacea di molti mali dell’economia italiana anche la Banca d’Italia. Nel suo ultimo rapporto Bankitalia ritiene che il quadro della stabilità finanziaria del nostro Paese è migliore rispetto a sei mesi fa, mentre rimane un «sostanziale equilibrio nel lungo periodo dei conti pubblici» anche se la una ripresa economica è ancora fragile. Il rapporto segnala anche una frenata, nel 2013, della caduta del reddito disponibile delle famiglie, uno degli elementi di maggior rischio a fronte di una condizione finanziaria che resta comunque solida grazie anche al basso indebitamento mentre ripartono i mutui casa nel primo trimestre di quest’anno.
Ma a trovarsi in acque poco tranquille sono ancora le imprese per le quali i segnali positivi si scorgono solo, a fronte di condizioni finanziarie deboli anche perché le nostre banche sono alle prese con aumenti di capitale per un totale di 10 miliardi. Se il Pil dovesse continuare con il segno positivo, secondo gli esperti di Bankitalia, il credito potrebbe riprendere a fluire a inizio 2015 a tutti i settori e non solo quelli più dinamici e orientati all’export. Mentre i prestiti in sofferenza (difficili da recuperare) delle banche potrebbero riportarsi su livelli fisiologici dopo la fine del 2014.
Il quadro però, avvisa Palazzo Koch, resta fragile. Fra i fattori di rischio: il periodo di bassa inflazione prolungata che peserebbe su Paesi con un alto debito pubblico come il nostro, le tensioni geopolitiche in Ucraina e l’innalzamento dei tassi per via dell’orientamento meno accomodante negli Stati Uniti. Dai Paesi Emergenti, conclude Bankitalia, sta tornando comunque un flusso di denaro che raffredda lo spread e dà ossigeno alle banche.
Luca Fornovo, La Stampa 3/5/2014