Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano 4/5/2014, 4 maggio 2014
ODO GELLI (E MERLI) FAR FESTA
Li stiamo perdendo. Tra i signorini grandi firme dei giornaloni c’è grossa crisi. Soprattutto di identità. Il mondo cambia rapidamente intorno a loro e non riescono più a intercettarlo. Così, smarriti e atterriti, menano fendenti alla cieca, ‘ndo cojo cojo, con effetti ora esilaranti ora preoccupanti. Quelli esilaranti colpiscono Piero Ostellino che, da quando ha scoperto l’esistenza della posta (devono avergli piazzato una buca delle lettere sotto casa), non si dà pace per alcuni lettori comprensibilmente disgustati dalle cose che scrive. E lancia strazianti gridi di dolore contro la “tirannia della maggioranza” (non si sa quale, essendo lui sempre dalla parte di chi comanda, da Craxi a Berlusconi). “Una certa minoranza di lettori socialmente attiva e politicamente aggressiva – scrive sul Corriere, noto foglio della resistenza clandestina – non nasconde di detestarmi. Temo sia la stessa situazione in cui si erano venuti a trovare, alla vigilia del fascismo, Giovanni Amendola, Piero Gobetti, Giacomo Matteotti”. Par di vederlo, il Solgenitsin de noantri, barricato nel suo nascondiglio sotterraneo dietro robusti chiavistelli, inferriate, lucchettoni e catenacci, scrutare l’orizzonte da uno spioncino o da una feritoia, pronto a offrire il petto alle pallottole delle squadracce (renziane? grilline? tsiprine?) che assediano casa sua per silenziare il nuovo Amendola, anzi Gobetti, anzi Matteotti, l’ultima voce scomoda d’Italia. Effetti più preoccupanti si riscontrano in Francesco Merlo, un tempo fustigatore di potenti, ora ridotto da un bel pezzo a bastonatore di oppositori. Ieri il prefetto di disciplina di Repubblica ha messo in riga il cantante Piero Pelù, che si è permesso uno sberleffo contro Renzi (“boy scout di Licio Gelli”) al concerto del 1° Maggio. Non bastava l’insurrezione dei guardaspalle del premier, i Carbone, Anzaldi, Boschi e Picierno, che stanno a Matteo come Gasparri, Schifani, Biancofiore e Santanchè stavano a B. quando al concertone sparlavano di lui Daniele Silvestri e Andrea Rivera; e riesumano gli argomenti dei bulgari di Arcore per tappare la bocca a Pelù: chissà quanto l’han pagato, i cantanti devono cantare, sono milionari quindi tacciano (invece i politici sono alla fame), intervenga la Vigilanza, anzi la pula con le cariche e gli idranti.
Ci voleva Merlo, che si scaglia contro il “Mefistofele di parrocchia”, lo “strapaesano di 52 anni ‘tinto’ come Berlusconi e non da cummenda ma – peggio – da teenager”, animato da “rancore politico”, “si crede un Norberto Bobbio che canta”, “la parodia della ribellione”, fa “abuso pirotecnico del nome di Gelli” ed è, naturalmente, in “crisi creativa” (lo dicevano anche di Luttazzi e della Guzzanti per giustificare la chiusura-censura dei loro programmi) e “straparla di politica per riacchiappare il successo”. E poi è “la pop star ufficiale di Grillo”, “il cantante organico dei 5Stelle”, come Grillo “ha l’affanno, l’aria di chi ha sempre bisogno d’acqua, i pensieri arruffati, il dito medio esibito, un rapporto difficile con i capelli”. Cioè: anche l’ingiusta calvizie di Merlo è colpa di Pelù. Che, se invece avesse fatto una cantatina alla Leopolda o scritto l’inno di Eataly, non gli sarebbe accaduto nulla. Sul merito dell’accostamento Renzi-Gelli – ovviamente esagerato, paradossale, provocatorio – neppure una sillaba. Eppure qualcosina ci sarebbe da dire sulle riforme costituzionali scritte a quattro mani con un piduista patentato e con Verdini, definite “svolta autoritaria” non da un rocker arruffato, ma da Rodotà e Zagrebelsky, firme di Repubblica, in un appello di Libertà e Giustizia, fondata da Carlo De Benedetti. Ma se i Merlo capissero i pericoli della svolta autoritaria, non occorrerebbero appelli dei professori né provocazioni alla Pelù. Quindi tutto torna. Anzi è facile immaginare che Merlo, dopo aver difeso impavido il capo del governo dalla battuta di un cantante, si sia subito sentito molto scomodo e abbia raggiunto Ostellino nelle catacombe, attendendo a pie’ fermo e petto in fuori i rastrellamenti e l’olio di ricino delle Brigate Litfiba.
Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano 4/5/2014