Fiorenza Sarzanini, IoDonna 3/5/2014, 3 maggio 2014
L’UTILITÀ DELLA MESSA IN PROVA
La decisoone del tribunale di sorveglianza di Milano di concedere l’affidamento in prova a Silvio Berlusconi riaccende l’attenzione su uno strumento che si è rivelato al momento l’unica possibilità per cercare di sfollare le carceri italiane. Senza interventi strutturali o provvedimenti di clemenza la detenzione alternativa è infatti la soluzione per evitare che persone “non socialmente pericolose” entrino in cella aggravando ulteriormente una situazione già drammatica. I numeri raccolti dal Sappe, il principale sindacato di polizia penitenziaria, dimostrano che molto si sta facendo ma molto altro si potrebbe fare cercando di snellire ulteriormente le procedure. I dati dicono che – nel giorno in cui Berlusconi ha ottenuto il beneficio – c’erano 11.646 imputati affidati in prova ai servizi sociali, 10.071 agli arresti domiciliari, 800 in semilibertà, 4.857 in lavori di pubblica utilità, 3.103 in libertà vigilata, 193 in libertà controllata, 9 in semidetenzione e 4 in sospensione condizionale della pena. C’è chi si occupa di assistenza ai bisognosi, ma anche chi svolge compiti di tipo amministrativo, chi ricopre mansioni da bibliotecario o archivista, chi cura la parte legale di associazioni e ong, chi si dedica ad attività di tipo manuale come la cura dei giardini o la falegnameria. «L’opinione pubblica» – sottolinea il segretario del Sappe Donato Capece, «non riconosce queste misure come vere e proprie pene, invece sarebbe bene dar loro il giusto valore soprattutto con l’obiettivo di recupero delle persone».