Fabio Tamburini, Corriere della Sera 6/5/2014, 6 maggio 2014
LA CASSAFORTE DEL GRUPPO RIVA SALE CESARE, IL NODO DELLE QUOTE
Emilio Riva, morto alla soglia dei 90 anni e fondatore del gruppo che controlla l’Ilva, era punto di riferimento esclusivo della numerosa schiera di eredi, della seconda e perfino terza generazione. La carica era di amministratore unico della Riva Fire, il cuore del gruppo (a cui fanno capo l’Ilva e la partecipazione in Alitalia), e permetteva di comandare in assoluta solitudine anche perché, dopo il trasferimento delle quote ai figli nati dal primo e dal secondo matrimonio, aveva mantenuto l’usufrutto e diritti di voto sulle decisioni d’importanza strategica pari al 60 per cento del capitale.
Per questo ora c’è un passaggio obbligatorio e delicato, che rende necessaria la verifica dei rapporti tra i discendenti. Più esattamente i rami familiari sono due. Gli eredi diretti di Emilio Riva controllano oltre l’80 per cento della Riva Fire, quasi tutto assegnato ai quattro figli maschi perché una regola non scritta del patriarca ha sempre preferito non coinvolgere le figlie nella vita delle aziende, pur assicurando loro uguale trattamento. La partecipazione restante, intorno al 15-20 per cento, è quella rimasta al fratello Adriano dopo la vendita a Emilio di una parte dei titoli di sua proprietà. In questo secondo caso la quota ha come riferimento due figli maschi.
L’altra caratteristica, che è stata uno dei punti di forza della famiglia, è che la quasi totalità degli eredi maschi della prima generazione è impegnata nel gruppo. Il problema è che oggi buona parte di loro è coinvolta nelle inchieste della magistratura di Taranto (per disastro ambientale) e di Milano (su frodi fiscali e truffe ai danni dello Stato). I figli maschi di Emilio Riva sono tre, avuti dalla prima moglie: Fabio (il primogenito), Claudio (l’unico che non ha incarichi nel gruppo, da cui è uscito una dozzina di anni fa) e Nicola (il più giovane dei tre). Il quarto è Daniele, figlio della seconda moglie, etiope con cittadinanza belga.
Fabio Riva, 59 anni, vicepresidente di Riva Fire, al momento dell’ordinanza di custodia cautelare era a Londra ed è in attesa del giudizio di appello contro la decisione della corte londinese di concedere l’estradizione in Italia. Claudio Riva, due anni in meno di Fabio, era l’uomo delle fabbriche, compresa quella di Taranto, ma è uscito dal gruppo nel 2002, in forte contrapposizione con il padre. Poi i rapporti sono stati ristabiliti, ma Claudio ha preferito dedicarsi al business armatoriale, del tutto autonomo e indipendente, anche se nel ramo del trasporto di materie prime e minerali per impianti siderurgici. Attualmente è l’unico degli eredi di Emilio che possiedono le quote più significative di Riva Fire a non essere oggetto di provvedimenti restrittivi perché Nicola, che seguiva la parte com-merciale e gli approvvigionamenti, ha l’obbligo di dimora (oltre a qualche problema di salute) e Daniele, il figlio della seconda moglie, ha sempre seguito la fabbrica genovese ma è parecchio più giovane.
Completano il quadro i due figli di Adriano Riva: Cesare, 53 anni, governa due aziende di peso (Riva acciai e Riva forni elettrici) mentre Angelo Massimo, 48 anni, si occupa di finanza (ed è, tra l’altro, consigliere di Alitalia). Cesare ha senz’altro le carte in regola per assumere la guida del gruppo, ma il ramo di Fabio e Claudio controlla la maggioranza delle azioni. Il confronto è in corso.