Fabio Cavalera, Corriere della Sera 6/5/2014, 6 maggio 2014
STEWARD, TELECAMERE E PROCESSI IMMEDIATI COSÌ GLI HOOLIGANS SONO STATI SCONFITTI
LONDRA — Ma Gennaro «a’ carogna» in uno stadio inglese che fine avrebbe fatto? Forse non sarebbe neppure entrato visto che basta un semplice sospetto per dare alla polizia il potere di tenerlo lontano dagli spalti. E i sospetti non mancavano, considerati i precedenti. Comunque, posto che fosse anche riuscito a passare, è facile rispondere: le telecamere lo avrebbero ripreso, lì arrampicato all’Olimpico, le immagini sarebbero state visionate immediatamente nella «control room» dello stadio da dove poi in tempo reale sarebbe partito l’ordine ai «response steward» del settore di intimargli di scendere. In caso di rifiuto gli stessi «response steward» avrebbero chiamato i poliziotti, che non possono stare all’interno dell’arena calcistica ma solo fuori e che avrebbero trascinato l’ultrà napoletano, con le buone o con le cattive maniere, in una cella sotto lo stadio (ogni stadio le ha in relazione alla capienza). Altro che trattativa.
Facile a dirsi e facile a farsi in Inghilterra dove la cultura sportiva è radicalmente cambiata negli ultimi vent’anni. Non che manchino sacche di hooligan ma lo stadio è un luogo sicuro per le famiglie e i primi a volere isolare i teppisti sono i tifosi. La collaborazione fra polizia, cittadini e società è finalizzata a bloccare preventivamente e a reprimere poi gli intolleranti.
La svolta nasce alla fine degli anni Ottanta dopo le stragi dell’Heysel, di Bradford e di Hillsborough (1989). Tragedie con decine di morti. Le leggi più dure sono del 1999 (il Football Offences and Disorder Act che punisce con l’arresto immediato e il processo per direttissima persino chi è sorpreso, sempre dai «response steward» e dalle telecamere a circuito chiuso, a urlare slogan non appropriati) e soprattutto il Football Desorder Act del luglio 2000 che il parlamento impiegò appena 15 giorni a rendere operativo.
La filosofia di base è che il calcio deve essere un spettacolo, che lo stadio è un luogo pubblico dove divertirsi, che i tifosi vanno aiutati, che gli stadi devono essere belli, sicuri, di facile accesso e comodi (tutti obbligatoriamente seduti) e che in ogni istante sia possibile l’identificazione di chi sgarra. Il sistema di controllo è silenzioso ma efficace. E si radica sulla piena collaborazione delle società, le quali hanno la responsabilità di coordinare e gestire gli steward dotati di poteri garantiti dalla legge.
Gli stessi club non hanno rapporti diretti con le tifoserie se non attraverso, proprio, gli steward che seguono corsi professionali. Possono incentivare con premi particolari la denuncia di persone o azioni «a rischio», possono chiedere l’intervento della polizia (pagando il costo allo Stato), hanno l’obbligo di impedire, col dialogo in primo luogo, qualsiasi esuberanza verbale. Scambio di informazioni. Gentilezza. E massima attenzione. La polizia, senza autorizzazione preventiva, ha la facoltà di trattenere in stato di fermo dalle 6 alle 24 ore chi nei 5 giorni precedenti l’incontro è sospettato di compiere azioni illegali nello stadio (gettare oggetti, organizzare risse, portare fumogeni o petardi). Coloro che sono ripresi e sorpresi in flagrante vanno a processo immediato, dopo due giorni. E in caso di condanna non hanno diritto all’appello. Carcere e mai più allo stadio. Sugli spalti si canta. Non si tratta.