Francesco De Dominicis, Libero 6/5/2014, 6 maggio 2014
NON SI SA CHI PAGA PER L’ALITALIA
Ennesima giornata decisiva per Alitalia. E forse non sarà nemmeno l’ultima. Roberto Colaninno e Gabriele Del Torchio sono volati ieri da Milano per Abu Dhabi. Il presidente e l’amministratore delegato della ex compagnia di bandiera incontreranno oggi i vertici di Etihad, con la speranza di lasciare il tavolo quantomeno con una stretta di mano. Anche se più di qualcuno spera di poter vedere un paio di firme sotto qualche documento. Del resto, i nodi da sciogliere sono ancora parecchi e non sono mancati i momenti di tensione durante le trattative che vanno ormai avanti da settimane.
Il negoziato sembra a un punto di non ritorno. Alitalia è chiamata a indicare le soluzioni individuate per sciogliere i nodi più insidiosi relativi ai debiti, ai contenziosi pregressi e agli esuberi e soddisfare così le condizioni poste da Etihad nella lettera inviata la scorsa settimana per poter arrivare a un accordo. Etihad, da parte sua, dovrà indicare le linee del nuovo piano industriale che formalizzerà le nozze tra le due compagnie, delineando il ruolo che svolgerà Alitalia. Dall’Italia sono rimbalzate voci confortanti. Grazie alle parole di Federico Ghizzoni. Il ceo di Unicredit, una delle banche esposte con il vettore italiano, ha detto che agli arabi verrano presentate proposte «concrete e condivise».
Al quartier generale Alitalia sono col fiato sospeso, mentre i lavoratori cercano ancora di capire quanto vale la fetta finale degli esuberi che sarà messa sul tavolo: la forchetta è ampia e oscilla tra 2mila e 3mila unità. Il taglio al costo del lavoro è cruciale: l’azienda chiederà nei prossimi giorni ai sindacati ulteriori interventi per arrivare ai 48 milioni di euro che ancora mancano per arrivare ai 128 milioni previsti dal vecchio piano industriale.
I fari, adesso, sono puntati sulle proposte confezionate da Del Torchio e Colaninno per Etihad. C’è quella dell’operazione societaria che vedrebbe la nascita di una newco in cui confluirebbero le attività operative e il personale, partecipata tra il 40 e il 49% da Etihad dopo un aumento di capitale per un importo che potrebbe arrivare fino a 560 milioni di euro. La maggioranza della newco farebbe capo a una holding, che non sarebbe altro che la vecchia Alitalia Cai, nata a gennaio 2009, e nella quale rimarrebbero i debiti e i contenziosi pregressi in capo alla compagnia dei quali Etihad non vuole assolutamente sentir parlare. Non solo. Ci sarebbe una strada più conservativa, che prevederebbe l’attuale struttura societaria, puntando a una ristrutturazione del debito con una conversione in equity da parte delle banche creditrici e di un parziale write off. Tuttavia, non è ancora chiaro quale potrebbe essere la percentuale di azioni che verrebbero assegnate agli istituti con la conversione del debito né quale fetta dei prestiti in sofferenza verrebbe azzerata. Resta da capire anche il ruolo assegnato allo scalo di Linate, mentre sembra da escludere la creazione di una bad company: il «no» categorico è stato ribadito ieri dal ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Maurizio Lupi. Pista impraticabile, visto che che scaricherebbe gioco forza una parte del «buco» Alitalia sui conti pubblici. In ma-
no agli ex capitani coraggiosi, la compagnia italiana ha accumulato perdite operative per oltre 700 milioni e debiti superiori al miliardo. Un flop certamente legato alla crisi internazionale e alla recessione, ma anche a un piano, tutto puntato sul Roma-Milano, che si è rivelato fallimentare. Lupi si tiene alla larga, limitandosi a spiegare che valuterà solo l’accordo finale tra due soggetti privati, e per ora esclude un «piano B» di emergenza da attivare in caso di fumata nera ad AbuDhabi.