Francesca Marino, Il Messaggero 6/5/2014, 6 maggio 2014
BENARES, CITTÀ DELL’ANIMA
È la più antica città del mondo ad essere ancora abitata. Anzi, come scriveva Mark Twain, Benares «…E’ più antica della storia, più antica della tradizione, più antica addirittura della leggenda, e appare vecchia il doppio di tutte queste cose messe insieme». È addirittura più antica dello stesso Gange, che secondo la leggenda è stato portato sulla terra molti anni dopo e scorre tra i capelli di Shiva, dio della distruzione e protettore della città. Ed è il luogo della sfida faccia a faccia tra i due principali candidati alle elezioni politiche di quest’anno: il “nazionalista hindu” Narendra Modi e il “Beppe Grillo” indiano Arvind Kejriwal. Anche se nessuno dei due, in realtà, può avanzare una sia pur remota connessione con la città, con i suoi abitanti e con le sue tradizioni. Il fatto è che Benares, oltre ad essere un concentrato spinto di tutte le tradizioni e le contraddizioni dell’India del passato e di quella del prossimo futuro, è una città-simbolo per molti motivi. Kashi, l’antico nome di Benares, significa “la città di luce”: la luce della spiritualità, la luce dell’alba che ogni mattina sorge illuminando pian piano i ghat, le gradinate sul Gange, salutata dalle preghiere e dalle abluzioni di migliaia di pellegrini.
LA STORIA
La città è costruita in modo da guardare il sole che sorge: sull’altra sponda del fiume non c’è assolutamente nulla. E il suo nucleo più antico si sviluppa lungo le rive del fiume, con lunghe gradinate che arrivano a lambire l’acqua. Per gli induisti, è la città sacra per eccellenza: bagnarsi qui nelle acque del Gange vuol dire essere purificati da ogni peccato. E morire a Benares vuol dire interrompere per sempre il ciclo delle rinascite: significa ricongiungersi finalmente all’Assoluto. Benares è quindi la città della morte, dove i morti si cremano sul fiume, in pieno centro cittadino e dove, a qualche metro di distanza, i bambini giocano a cricket, i lavandai fanno il bucato e i vecchi seduti a gambe incrociate imbastiscono interminabili partite a carte bevendo chai (tè) e mangiando noccioline e samosa. A Benares, infatti, la morte è semplicemente un altro aspetto dell’esistenza. Sono in tanti, da ogni parte dell’India, anche quelli che scelgono di venire a trascorrere qui gli ultimi anni della loro esistenza in preghiera e in meditazione. Trascorrendo i loro ultimi anni in povertà e dedicandosi soltanto a Dio in attesa di venire finalmente liberati dal peso di questo mondo illusorio. Benares è sacra anche per i seguaci del Buddha che a Sarnath, dieci chilometri più in là, ha tenuto il suo primo sermone.
VITA E MORTE
È una città difficile dove vita e morte, luci e ombre, affari e religione sono inestricabilmente legati. È una città santa ma anche estremamente violenta in cui il principale tempio cittadino, il Vishwanath Mandir, divide il muro di cinta con una moschea. Moschea che gli integralisti hindu che sostengono Modi hanno giurato prima o poi di abbattere come è avvenuto nel 1993 per la Babri Masjid di Ayodhya. È una città economicamente quasi in ginocchio che campa ormai quasi soltanto di turismo, visto la tessitura di seta e cotone che costituiva uno dei vanti e delle principali fonti di reddito della città è ormai irrimediabilmente in crisi. La crisi è cominciata una decina di anni fa, quando il filo di seta cinese, meno caro perchè filato a macchina, ha invaso il mercato e i cinesi hanno cominciato a produrre broccati di Benares: tessuti a macchina e di qualità inferiore ma a un decimo del costo di quelli autentici. Gettando sul lastrico tessitori e commercianti benarensi, che stentano adesso a sopravvivere. Negli ultimi anni ci sono stati suicidi a catena di tessitori, e anche i commercianti non se la passano benissimo. Turisti e pellegrini, data la congiuntura economica, diminuiscono e sono sempre meno disposti a spendere. Il Gange, la Madre purificatrice, è inquinato e diventa sempre più piccolo a causa della diga di Tehri costruita a monte. Soltanto il 30% dei cittadini risulta ufficialmente occupato.
Ma Benares, dicono sui ghat, sopravviverà come è sempre sopravvissuta. Con le sue feste religiose, le sue manifestazioni di allegria o di rabbia più o meno violente, la sua musica, la sua letteratura. Perché Benares è anche la città della vita, famosa per il cibo di strada e il paan (foglie di tabacco ripiene di betel e spezie), per la musica e il canto, per le cortigiane, per i poeti e gli scrittori che là sono nati e vissuti e hanno lavorato. Benares è la città di Shiva il Distruttore, dicono sui ghat: e Modi e Kejriwal, checchè ne pensino loro stessi e la stampa indiana che si è installata in città da giorni suscitando più che altro ilarità e rabbia tra i locali, non contano poi tanto. Per gli abitanti di Benares, è Benares a essere il centro assoluto del mondo. E i due politici sono soltanto un piccolo, infinitesimale episodio nella tessitura millennaria di un tempo che qui scorre in modo diverso da tutto. O che forse, semplicemente, ha cessato di scorrere molto tempo fa.