Enrico Marro, Corriere della Sera 6/5/2014, 6 maggio 2014
ROMA —
La cassa integrazione in deroga e l’indennità di mobilità in deroga, messe in campo dal governo Berlusconi nel 2008, dovevano essere uno strumento provvisorio per aiutare, nella fase più acuta della crisi, i lavoratori delle piccole aziende e dei settori sprovvisti degli ordinari ammortizzatori sociali. L’intenzione era giusta: aprire un paracadute temporaneo per i lavoratori più deboli. In parte è stato così. Ma alla fine il sistema è degenerato. Gli strumenti in deroga si sono trasformati in un sussidio permanente, che succhia ogni anno miliardi di euro. Un meccanismo fuori controllo che spesso serve solo ad accompagnare i lavoratori alla pensione, talvolta assistendoli per un numero spropositato di anni, anziché aiutarli a trovare una nuova occupazione.
È la fotografia che emerge dalla relazione della Corte dei Conti, firmata dal consigliere Giovanni Coppola, su «L’evoluzione del sistema degli ammortizzatori sociali», che analizza la situazione degli ultimi 5 anni. «Da gennaio 2009 a luglio 2013 gli oneri per gli strumenti in deroga hanno raggiunto 5,78 miliardi». Una «crescita esponenziale» delle ore di cassa in deroga autorizzate: da 121 milioni di ore nel 2009 al picco di 370 milioni nel 2010, per poi continuare sempre con più 300 milioni di ore l’anno. In pratica un terzo di tutte le ore autorizzate ogni anno per la cassa integrazione (circa un miliardo) è andato alla cassa in deroga. Con una spesa via via crescente: dagli 830 milioni rimborsati dallo Stato all’Inps (che eroga il sussidio) nel 2009 ai 2,5 miliardi del 2013. Soldi che non bastano mai, tanto che anche ora il governo è a caccia di un miliardo in più per far fronte alle richieste delle Regioni per il 2014. Soldi che, a differenza di quelli per gli strumenti ordinari (cig ordinaria e straordinaria, indennità di mobilità e disoccupazione) non hanno alle spalle i contributi delle aziende, ma pesano sulla fiscalità generale, cioè su tutti i contribuenti.
Nel periodo 1 gennaio 2009 – 31 dicembre 2012, dice la relazione, sono stati erogati complessivamente circa 1,2 milioni di trattamenti di cassa integrazione in deroga e 144 mila indennità di mobilità in deroga. Metà delle prestazioni sono andate in quattro Regioni: Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte, che hanno fatto il pieno di cig in deroga. Invece, tutte le regioni meridionali, ad esclusione della Campania, «mostrano una quota di lavori sussidiati a seguito della perdita di lavoro (mobilità in deroga) nettamente superiore alla media nazionale». Poiché un lavoratore può essere oggetto di più prestazioni, il numero dei beneficiari nel quadriennio 2009-2012 è più basso del totale dei trattamenti: si tratta infatti di 824.179 lavoratori, per il 59,7% maschi. Circa 310 mila persone hanno usufruito di più di una prestazione in deroga.
Secondo le indicazioni della Commissione europea e l’accordo Stato-Regioni del 2009, «un ruolo dirimente» viene assegnato «alla personalizzazione e alla qualità delle politiche attive rivolte ai lavoratori» beneficiari degli ammortizzatori in deroga. Nella realtà, sottolinea la Corte dei Conti, «la gran parte degli interventi ha riguardato una formazione di base e generalistica» mentre «minore rilevanza hanno le azioni maggiormente mirate alla effettiva ricollocazione nel mondo del lavoro»: solo il 5,6% ha ricevuto una «offerta di accompagnamento» a una nuova occupazione. Le conclusioni sono pesanti. «Assai spesso si assiste all’uso della cassa integrazione come un allungamento della vita lavorativa», una sorta di «accanimento terapeutico» nei confronti di aziende senza futuro. Per giunta con un effetto di «cannibalizzazione» degli strumenti ordinari, come è dimostrato dalla «prassi invalsa di concedere periodi cassa integrazione e indennità di mobilità in deroga ulteriori rispetto agli originari limiti di durata». Senza contare tutti i casi in cui gli strumenti in deroga si aggiungono a quelli ordinari quando le grandi imprese hanno esaurito i termini di durata. Lavoratori parcheggiati per anni, con «un effetto disincentivante nella ricerca di una nuova occupazione». «Né, d’altro canto, le politiche attive appaiono in grado di realizzare un’inversione di tendenza». Si resta così, «in un limbo dantesco», si legge nella relazione. In alcuni casi, «ad esempio nel settore del trasporto aereo, l’utilizzo massivo degli strumenti in deroga si è risolto in un lungo percorso di avvicinamento al trattamento pensionistico, con un elevato costo a carico della collettività». E non è finita, perché nella trattativa Alitalia-Etihad si parla di altre migliaia di lavoratori in esubero. Volete un altro esempio? La cassa in deroga per i lavoratori della Fiat di Termini Imerese (chiusa nel 2011), che si è aggiunta dopo due anni di cassa straordinaria, senza che ancora ci sia una prospettiva di reimpiego.
La riforma è urgente. Il governo Letta ha lasciato in eredità il decreto interministeriale messo a punto dall’allora sottosegretario al Lavoro Carlo Dell’Aringa, con una stretta ai criteri di concessione e di durata della cig in deroga. Finora è bastato un accordo tra azienda e sindacati e l’ok delle Regioni, in un meccanismo di «deresponsabilizzazione di queste ultime perché, al di là delle buone intenzioni, prendono le decisioni con i soldi degli altri, cioè della collettività», spiega Dell’Aringa. Quel decreto, che non è mai stato emanato perché il governo Letta cadde, è rimasto nel cassetto in attesa della riforma degli ammortizzatori prevista dal disegno di legge delega approvato dall’esecutivo Renzi. Che intanto non sa dove trovare un altro miliardo «in deroga» per il 2014.
Enrico Marro