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 2014  maggio 02 Venerdì calendario

CARI CHEF TORNATE AI FORNELLI


Antonino Cannavacciuolo, chef pluristellato e star del programma Cucine da incubo, sospira al telefono e mentre lo si immagina stanco, con gli zoccoli, vicino a un forno rovente acceso dalle sei del mattino, sorprende con: «Sono alla quarantesima intervista oggi». Il patron del ristorante Villa Crespi non è un oste, ma è una star televisiva. Il suo programma andrà in onda su FoxLife (dal 7 maggio), la prima serie è stata un successo con 720 mila spettatori, ma questa sembra superare le aspettative con oltre 200 ristoratori sull’orlo del fallimento che hanno richiesto l’aiuto del Superman dei fornelli. «Non volevo fare la televisione, ma poi Carlo Cracco mi aprì gli occhi: poteva aiutarmi a fare girare meglio il mio lavoro».
E così mentre lui terrorizza ristoratori in crisi, il suo mentore, Cracco, lo chef più star di un archistar, ha appena finito Masterchef ed è già protagonista di Hell’s Kitchen, versione nostrana del fortunato format ideato da Gordon Ramsay, al terzo posto tra i cuochi più ricchi del mondo. È lo chef scozzese che, tra tv e ristoranti, fattura all’anno 118 milioni di dollari. E allora se c’è riuscito Ramsay perché non provarci noi? Così tutti fuori dalla cucina, a spadellare in televisione, e i numeri sembrano dare loro ragione.
La terza edizione di Masterchef ha registrato una media di 1 milione e 63 mila spettatori, il 57 per cento in più rispetto alle precedenti. La finale è stata un record: 1 milione e 420 mila spettatori e 31 mila tweet. Con la soddisfazione di battere la Rai. La versione junior è stata seguita da 650 mila spettatori.
Simone Rugiati, conduttore di Cuochi e fiamme su La7d, è seguito da 250 mila spettatori a puntata e dal suo esordio, quattro anni fa, ha incantato 30,6 milioni di persone. La storica Prova del cuoco, in onda dal 2000 in Rai, mantiene uno share medio del 17,6 per cento con punte del 31: un’enormità.
Seguitissimi, idolatrati, sono diventati più popolari delle top model degli anni Novanta, e per capirlo basta leggere alcuni dei commenti lasciati a Cracco sul web: «Andrò al suo ristorante solo per guardarlo». Ma quando mai si è andati al ristorante per guardare il cuoco? «Un’anima enigmatica». E quando ci si è preoccupati della psiche dello chef? Ma soprattutto: quand’è che cucinano se sono sempre in tv? Forse sarebbe ora che tornassero ai fornelli. E se lo è domandato anche Aldo Grasso nella sua rubrica sul Corriere della sera: «Quando ha iniziato a diventare un mestiere così trendy e quanto c’entra la tv?».
Heinz Beck, storico chef de La Pergola a Roma, che sotto la sua direzione quest’anno compie 20 anni, è ritenuto uno dei cuochi migliori del mondo, tre stelle Michelin e tutti i premi possibili. È molto diplomatico: «Masterchef? Non l’ho mai visto, a quell’ora lavoro». Anche lui ha ceduto al video: «Ho fatto anche io qualche apparizione, ma non mi interessa. E poi penso che i cuochi debbano stare al loro posto. Io otto ore le passo ogni giorno lì dentro, da 35 anni. Lo chef deve essere presente nel ristorante: non sono mai mancato una sera alla Pergola, solo l’anno scorso, per ragioni eccezionali, ho perso tre serate. E per me è stato un dolore».
Meno diplomatico e più diretto è il suo collega Oliver Glowing, anche lui tedesco. Il suo ristorante all’interno dell’Aldrovandi Villa Borghese, a Roma, ha conquistato nel 2012 le due stelle Michelin: «Questa della tv è una moda, anche in Germania ogni canale ha il suo chef. E sono troppi. Capisco che sia una buona opportunità in un momento di crisi come questo, ma i cuochi non sono attori, devono concentrarsi». Lui in tv è stato solo una volta, a La prova del cuoco: «Ma non sono adatto, ho l’accento tedesco, non so sorridere e non sapevo spiegare bene le ricette. I colleghi invece sono bravissimi, ma quando cucinano?».
Il primo ad apparire in video, con uno storico risotto cucinato con Massimo D’Alema a Porta a porta, fu Gianfranco Vissani. Che oggi dice: mea culpa, mea maxima culpa. «Ad andare in televisione ci si perde tutti: uno devoto al lavoro sta nella sua cucina, non lì. Il vero cuoco è una suora di clausura». Ma aggiunge: «La verità è che non ci si guadagna più, tra meno di 10 anni tutta questa grande ristorazione andrà a farsi friggere: si sopravvive con al massimo quattro cuochi e tre camerieri. La tv riempie i ristoranti. Senza, come avrei fatto a mantenere il mio ristorante in Umbria?». Chi lo ha capito ha vinto, prima gli stranieri ora i nostri. E sebbene tutti i colleghi stellati si dicano grandi amici di Carlo Cracco, e per lui sprechino immensi elogi, sottovoce sussurrano che il suo ristorante non andava affatto bene prima di iniziare ad andare in tv e che ora che è diventato una star certamente fa tutto, anche la pubblicità alle patatine, ma non cucina più. E qualcuno sospira con una punta d’invidia: «Lui è anche tanto bello. Ci vuole il physique du rôle per fare certe carriere...».
Davide Oldani, il grande creativo della cucina pop, è più umano: «Semplicemente ora la cucina interessa a tutti. E poi noi cuochi facciamo una vitaccia, un po’ di gloria ce la meritiamo». Filippo La Mantia, oste e cuoco siciliano, confessa che la tv ha cambiato anche la sua vita. Dopo aver fatto The Chef, su Canale 5, lo fermano per strada: «A Milano mi riconoscono e chiedono di farsi fotografare con me». E nasce l’idea dello chef «direttore d’orchestra», un Riccardo Muti col cappello bianco. Lo racconta Andrea Berton, televisivamente vergine, beato lui, nel suo nuovo ristorante milanese sempre pieno a dispetto della tv: «Lo chef oggi dirige un team di lavoro. Come diceva Paul Bocuse a quelli che gli chiedevano: ma chi c’è in cucina quando lei non c’è? Rispondeva: gli stessi che ci sono quando ci sono io».
L’effetto collaterale di tanta fama è che oggi un ragazzo che vede il cuoco in video come una celebrity pensa che la vita di cucina sia una passeggiata tra gli allori. Ma non è così. Enrico Cerea, chef tristellato del ristorante Da Vittorio, poco fuori Bergamo, ricorda che tornando da scuola a 12 anni passava il pomeriggio a lavare piatti e padelle e a pulire gamberetti nel locale di famiglia. «Ora i ragazzi che arrivano dall’alberghiero vogliono fare tutti gli chef e nessuno vuole stare in sala. Sono esperti di spume e spumette, ma non sanno fare la polenta. Questo purtroppo è l’effetto della cucina mediatica. Ma chi se la prende con gli chef in tv è solo invidioso: tutti vorremmo essere al posto loro».
Laura Ravajoli, volto storico del Gambero Rosso Channel, racconta: «Mi chiamano in continuazione genitori convinti: mio figlio vuole fare lo chef. Io cerco di smorzare gli entusiasmi. Magari l’aiuto, il lavapiatti. Loro insistono: no, proprio lo chef. Sa, lui è tanto creativo». Ma che idea dovrebbero farsi, questi ragazzi che escono dall’alberghiero, di cuochi che scrivono più volumi che Marcel Proust con la Recherche? In media possiamo affermare che ogni chef celebre ha scritto dai cinque ai sette libri. Moreno Cedroni, marchigiano e pluristellato, finora ne ha cucinati 10, e a ottobre sfornerà l’undicesimo (per Giunti). Stiamo sui livelli di Philip Roth. «La tv in giuste dosi è importante, ci ha dato lustro e notorietà» ammette. Ma poi sussurra: «Il cliente con il pranzo di lavoro è scomparso e se una volta da noi si prenotava una settimana prima oggi non è più così».
I libri di cucina vanno via come il pane e, a differenza della letteratura che arraca, entrano in classifica. Mondadori, tra quest’anno e il precedente, ha mandato in libreria 16 titoli sul cibo, l’ultimo, Las Vegans, di Paola Maugeri, volto noto di Mtv e convinta vegana, è già alla seconda edizione in due settimane, mentre la casa editrice Giunti è il faro della nuova tendenza: nel 2013 sono usciti 36 libri, quest’anno 45.
E i signori della pentola sono tutti beautiful. Come la food blogger Chiara Maci: 10 mila contatti al giorno e 200 mila like su Facebook, un’aria più da fotomodella che da donna in cucina. Secondo lei il cibo reality è un’ossessione, quasi morbosa, un’onda che adesso va cavalcata, ma prima o poi finirà. Su questo interesse morboso Fabio Picchi, chef fiorentino del Cibreo e Cibreino, cuoco intellettuale, ha una sua teoria: «C’è stato un blackout generazionale: le madri hanno smesso di cucinare, le donne lavorano, in casa non si parla più di cucina e ricette: ci sentiamo orfani, i giovani hanno un vuoto culturale, e i programmi tv hanno questo successo enorme perché colmano quel vuoto».
Dunque ci mancano le tagliatelle della nonna e il tepore della ribollita? Gennarino Esposito, due stelle Michelin, mentre scola i broccoli alle nove del mattino nella sua Torre del Saracino a Vico Equense riflette su alcune contraddizioni. «Dopo cinque anni di questi programmi è cambiato l’approccio della gente al cibo, ma ancora tanti non sanno fare la spesa. Conosco quasi tutti gli chef che oggi sono in tv, sono dei talenti indiscussi della cucina italiana: ma davanti a certi programmi sorrido a denti stretti. L’essenza del nostro lavoro non viene raccontata. Ed è nelle 12 ore passate ai fornelli ogni giorno». Ritorna l’immagine affaticata del cuoco con lo zoccolo. E Cannavacciuolo, la star, in partenza per le sue cucine da incubo, lancia una fatwa: «Oggi al mio nemico dico: apriti un ristorante...».