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 2014  maggio 02 Venerdì calendario

L’EUROCASTA

Poco meno di un mese, e domenica 25 maggio eleggeremo il Parlamento europeo. L’istituzione, per ora, resiste ai venti di guerra che in Italia soffiano contro i costi della politica.
Eppure anche in Europa c’è una clamorosa «casta» parlamentare. Con eurodeputati che «truccano »i dati sulla produttività; altri che fanno di tutto per conservare uno stipendio più alto, in barba alle ultime regole comunitarie; e tutti sono pronti, in caso di un addio a Strasburgo, a rientrare a casa con un «tesoretto» di migliaia di euro. Panorama ha fatto un viaggio fra Bruxelles e Strasburgo, a caccia di privilegi e sprechi.
Quei 30 «irriducibili» con la busta paga più alta
Dopo annosi dibattiti sugli stipendi, troppo diversi da un paese all’altro, il Parlamento europeo aveva finalmente trovato un accordo per un’indennità uguale per tutti. Dal 2009 i 766 deputati che occupano un euroscranno dovrebbero ricevere lo stesso stipendio mensile: 7.956,87 euro lordi. Ma così non è. Panorama ha scoperto, infatti, che ci sono ben 30 europarlamentari che ricevono tuttora il vecchio (e verosimilmente più generoso) trattamento nazionale.
Chi sono? Sui loro nomi vige un top secret degno di uno «007» in missione speciale. Il Registro pubblico del Parlamento europeo, davanti alla richiesta (avanzata sulla base dell’articolo 1049 del regolamento sulla trasparenza), si trincera dietro la privacy e non dà indicazioni: precisa soltanto che gli onorevoli «sono completamente a carico del paese d’origine per salari, indennità transitorie e future pensioni». Stesso risultato alla domanda di conoscerne, almeno, la nazionalità: «Visti i numeri ridotti» replica il Registro «l’informazione li renderebbe rapidamente identificabili».
La facoltà di mantenere il vecchio trattamento retributivo era stata prevista solo per i deputati già in carica e rieletti nel 2009 (gli stessi, per intenderci, che avevano approvato la norma). Ebbene, 5 anni fa dalle urne uscì riconfermata circa metà degli allora 785 eurodeputati. Non è così semplice, dunque, individuare fra 368 membri la pattuglia dei 30 «irriducibili» che si è tenuta stretta la vecchia busta paga. I sospetti si indirizzano ovviamente verso quelli pagati meglio. E in vetta alla classifica c’erano gli italiani, con 11.703,64 euro al mese. Seguiti da austriaci
e irlandesi che superavano i 100 mila euro annui. Gli eurodeputati italiani confermati nel 2009 sono 26 (tre di loro, però, nel frattempo hanno lasciato Strasburgo). Giuseppe Gargani, eurodeputato Udc a suo tempo responsabile della riforma, si dice certo che «tutti i 73 colleghi italiani percepiscono lo stipendio europeo», quello ridotto. Ma il dubbio resta: chi sono i 30? Un mistero da casta nella casta.
L’indennità spese generali: altri 4.299 euro al mese
Per la maggioranza degli europarlamentari che ricevono la retribuzione standard, il netto a fine mese è di 6.200,72 euro perché l’imposta comunitaria sforbicia appena 1.746 euro (e 9,64 vanno in assicurazione). A questi si aggiunge un’«indennità spese generali» di 4.299 euro al mese. Sulla carta, questa somma dovrebbe servire a ogni eletto per coprire i costi che affronta nel suo paese d’origine, allo scopo di tenere i rapporti con il collegio elettorale: affitto di un ufficio, spese di telefono, internet, posta...
Il punto è che non esiste alcun obbligo di rendicontare le spese affrontate. Lo stesso Registro pubblico conferma a Panorama che «tutti gli eurodeputati hanno l’accredito di salario e indennità di spese generali sui propri conti correnti». Un ufficio in affitto può costare anche molto nelle città più grandi, ma molto meno in provincia e di solito al Sud. Insomma, nessuno controlla come sono spesi questi 51.588 euro all’anno, 257.940 euro a testa nell’intero mandato.
Il ricco rimborso dei viaggi e l’extrabonus degli italiani
Sulle spese di viaggio c’è più trasparenza, almeno da quando è stato abolito il forfait: oggi l’Europarlamento rimborsa esclusivamente dietro la presentazione di ricevute di carte d’imbarco per quel che riguarda i voli, e dei biglietti dei treni. È diventato difficile, insomma, fare la «cresta» viaggiando in low cost e intascando il resto della somma (come accadeva in passato). Ma è rimasta in vita un’indennità basata su importi calcolati «sulla distanza percorsa dal punto di partenza al luogo di lavoro». Di fatto, una cifra rimborsata in più dal momento in cui l’eurodeputato varca l’uscio di casa sua fino al suo rientro. Così, per esempio, chi arriva dalla Sicilia per tre giorni di sessione plenaria a Strasburgo incassa fino a 600 euro in più.
E i viaggi sul territorio nazionale? Benché il Parlamento europeo copra fino a 24 spostamenti (andata-ritorno) all’anno in aereo, treno, nave all’interno del paese in cui ogni deputato è eletto, una legge italiana del 1979 dà ai nostri 73 europarlamentari anche il rimborso delle tratte nazionali. L’importo massimo annuo equivale al costo di 40 biglietti andata-ritorno fra Roma e la località di residenza dell’eletto, o la sua circoscrizione di elezione. Interrogato da Panorama, il ministero dell’Economia rivela che nella legislatura in corso «l’importo massimo medio è risultato di 25.440 euro annui per parlamentare». In dettaglio «hanno chiesto il rimborso di biglietti aerei su tratte nazionali 57 europarlamentari per una spesa al 28 marzo 2014 di 357.944,81 euro». Quanto alle 73 tessere di circolazione su rete ferroviaria nazionale, acquistate d’ufficio per ciascun eurodeputato grazie a una convenzione stipulata con le Fs, il costo per il contribuente è stato di 617.135,34 euro. Insomma, alla voce «viaggi» i 73 italiani hanno fatto spendere 1 milione.
Le assenze, le presenze (e le relative indennità)
Le assenze sono un’altra voce al limite del mistero. Ogni eurodeputato in teoria dovrebbe firmare il registro ufficiale, da-
vanti all’aula, per attestare la sua presenza. Ma, fino alle 19, può farlo in un ufficio secondario (nel giugno 2013 destò clamore il diverbio dell’azzurro Raffaele Baldassarre, placcato da un giornalista olandese mentre firmava alle 18.30). È vero: a volte, si tratta di pure dimenticanze. Ma non si può escludere che qualcuno approfitti di una firma tardiva per risultare al lavoro l’intera giornata.
Più attendibile è la partecipazione al voto. In attesa che il Parlamento europeo stili le liste ufficiali di fine legislatura, ci si affida alle ormai note pagelle di VoteWatch, un organismo indipendente nato nel 2009 come sentinella dell’attività degli europarlamentari. Ebbene, in base a questi dati (aggiornati al 28 aprile 2014), l’Italia risulta quintultima fra i 28 paesi dell’Unione: i nostri 73 eurodeputati hanno garantito, in media, il 78,68 per cento di partecipazione al voto nelle assemblee plenarie. Peggio hanno fatto soltanto i loro colleghi di Cipro, Lituania, Grecia e, buona ultima, Malta.
Passando ai singoli eurodeputati, VoteWatch incorona il forzista Sergio Silvestris come lo «Stakanov» nazionale: è settimo sui 766 europarlamentari (con il 98,16 per cento di partecipazioni al voto). Fra i primi 20, anche Andrea Zanoni (Pd) e Fabrizio Bertot (Forza Italia). Scivolano oltre la centesima posizione Francesco Speroni (Lega) e Sergio Cofferati (Pd), oltre la duecentesima Elisabetta Gardini e Iva Zanicchi (entrambe forziste), oltre la trecentesima Carlo Fidanza (Fratelli d’Italia) e Barbara Matera (FI), oltre la quattrocentesima Lara Comi (FI) e Paolo De Castro (Pd). Magdi Allam (Io amo l’Italia) è al 622° posto, David Sassoli (Pd) al 643°, Clemente Mastella (Unione democratici) al 749°. Eppure tutti questi parlamentari hanno sempre quote di voto ben superiori al 50 per cento.
Non è un caso. VoteWatch stila il suo elenco sui voti elettronici (i cosiddetti «Rollcall-vote»), quando l’eurodeputato vota nell’emiciclo con la tessera magnetica. I dati di Bruxelles mostrano che, dal luglio 2009 al febbraio 2014, le operazioni di voto sono state 20.696 in tutto. Ma Panorama ha ricostruito che, nel periodo, solo 5.501 sono state «Rcv»: il 26 per cento del totale. È su questo numero, però, che sono stilate le classifiche in circolazione e che si attribuisce l’«indennità di soggiorno»: 304 euro per ogni giorno a Strasburgo o Bruxelles, dimezzati in caso di assenze superiori (guarda caso) proprio al 50 per cento.
Certi eletti sono più produttivi, ma solo grazie a un «trucco»
Per misurare la produttività si valutano, in genere, relazioni, interventi in seduta plenaria e interrogazioni parlamentari. Secondo le elaborazioni di Panorama sui dati ufficiali (aggiornati al 3 aprile 2014), i 73 parlamentari italiani in Europa sono stati relatori di 223 testi di legge, sono intervenuti in aula 14.281 volte e hanno presentato 12.326 interrogazioni. In media, fanno tre relazioni, 195 interventi e 168 interrogazioni a testa in cinque anni.
Ma scavando nei numeri si scovano le sorprese. La principale arriva dagli interventi in aula. Da quando VoteWatch ha iniziato a monitorare gli eurodeputati, si è verificata una crescita esponenziale delle dichiarazioni di voto in forma scritta (in questo caso, il deputato può depositare motivazioni fino a 15 giorni dopo la plenaria, e può anche non farlo di persona). Fino al settembre 2009 le motivazioni di voto orali erano 22, mentre 115 erano quelle scritte; nel novembre 2010 il nuovo totale era di 26 orali e 940 scritte; a novembre 2011 156 orali e 1.644 scritte.
In un crescendo rossiniano, al novembre 2012 quelle scritte avevano sfondato il tetto di 2 mila fino a impennarsi, nel dicembre scorso, a 3.105. E quelle orali? Erano sempre inchiodate a 154. Lo stesso Europarlamento calcola che nelle 12 sessioni del 2013 le dichiarazioni di voto siano state, in media, 145 orali e 2.113 scritte. Tutte entrano però sotto la voce «interventi in aula», facendone lievitare il numero.
Panorama ha anche esaminato i 14.281 interventi in plenaria degli eletti italiani, scoprendo che 6.343 sono motivazioni di voto. Per alcuni deputati questo tipo di interventi pesa per oltre la metà del totale. È il caso di Antonio Cancian e Alfredo Antoniozzi (entrambi Ncd), o di Licia Ronzulli (FI). Quante di queste dichiarazioni sono scritte? Calcolarlo non è facile. Ma, per esempio, su 106 interventi svolti in plenaria dal segretario della Lega Matteo Salvini, 60 sono dichiarazioni di voto (e tutte scritte). E lo stesso per Ciriaco De Mita (Udc): 36 interventi in 5 anni al suo attivo, di cui 32 motivazioni di voto scritte.
Quanto al contenuto delle interrogazioni, c’è di tutto. Capita di trovare la stessa interrogazione, posta su una questione afferente uno dei 28 paesi Ue, e poi replicata con lo stesso testo per gli altri paesi. La leghista Mara Bizzotto, per esempio, ne ha poste una ventina sulla crisi delle piccole e medie imprese, paese per paese.
Un addio dopo cinque anni, però con un bel tesoretto
Ma che cosa accade a chi non è stato ricandidato o non sarà rieletto? A differenza degli assistenti parlamentari (il cui contratto scade il 1° luglio, senza preavviso e indennizzo), tutti gli europarlamentari saranno pagati fino al 31 luglio, anche se non lavoreranno nei 3 mesi di maggio, giugno e luglio. Per chi torna a casa, poi, dal 1° agosto al 31 gennaio 2015 scatta «l’indennità transitoria»: l’onorevole riceverà lo stesso stipendio netto di 6.206,82 euro per 6 mesi. In tutto, da maggio a gennaio, un netto di 55.861,38 euro.
Non è tutto. Per gli eurodeputati la pensione di anzianità scatta prima, a 63 anni, e ammonta al 3,5 per cento dell’indennità per ogni anno completo di mandato (fino al 70 per cento). Dopo 5 anni si riceve quindi un mensile di 1.392,45 euro lordi. La cifra, ovviamente, aumenta per chi ha svolto più mandati. E anche chi ha lasciato in anticipo Strasburgo non resta all’asciutto: bastano infatti 18 mesi per incassare una pensione «minima» mensile di 417,73 euro. Se non è Eurocasta questa...