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 2014  maggio 03 Sabato calendario

«LE SOLE FINESTRE CHE UN DETENUTO PUO’ APRIRE: I LIBRI»

La prima volta che ho incontrato gli studenti della II D/C del liceo artistico Soleri-Bertone, mi hanno scambiato per un altro. E’ un po’ quello che mi è sempre successo andando a incontrare gli studenti delle scuole in giro per l’ Italia. Si aspettano che arrivi una specie di Manzoni, con le basette e il colletto inamidato, e invece al suo posto si presenta sto tizio con la felpa e un orecchino sul sopracciglio. Li vedo che tirano un sospiro di sollievo. Si rilassano. «Questo è messo peggio di noi», pensano.
E succede in ogni scuola, una o due volte a settimana, da anni. Ed è successo anche quando ho incontrato le classi ristrette del Liceo Artistico Soleri-Bertone, a Saluzzo. Ma a differenza delle altre scuole, qui ad aspettarmi qualcosa di diverso ero io. Per entrare nelle classi I e II D/C devi passare un metal detector e una perquisizione personale. Devi lasciare il telefono in una cassetta di sicurezza e la carta d’identità all’ingresso.Un sacco di porte blindate vengono aperte e poi chiuse tue spalle.
Le classi ristrette del Liceo Soleri Bertone si trovano nel Carcere di Massima Sicurezza Rodolfo Morandi di Saluzzo. Ho passato lì tutti i lunedì di marzo. La mattina con gli studenti della I D/C, il pomeriggio con la II e la I A del Liceo Linguistico. Gli studenti della I D/C e della II non si possono incontrare, come accade in ogni scuola del mondo, magari a ricreazione, nei corridoi. Quelli di prima sono in regime di semi protezione, sono detenuti per crimini a sfondo sessuale, e restano separati dagli altri.
La prima volta che mi ha visto, seduto sulla cattedra e non dietro, uno studente della II^ ha chiesto alla loro professoressa, la signora Scotta, perchè mai a parlare ci fosse un detenuto di medio termine. «Quello è lo scrittore» ha risposto lei.
Adotta uno scrittore è un’iniziativa del Salone del Libro che da anni porta gli autori nelle scuole. Quest’anno, con gli studenti delle mie classi ristrette, ho imparato che dentro a un carcere i libri sono le uniche finestre che un detenuto può aprire. Credo sia l’unico caso di evasione in cui le Guardie della Polizia Penitenziaria poi non ti inseguono. Anche perchè sarebbe impossibile. I libri sanno portarti in certi posti che appartengono solo a te, e che nessun altro può raggiungere.
Parlare di libri in carcere è stato... beh, è stato come parlare di libri come con qualsiasi altro essere umano. Perdendosi dietro a Cirano o nelle Città Invisibili di Calvino, poi non fai caso ai muri di cemento armato e alle torrette sul muro di cinta. Certo, sono finestre particolari, non ci possono passare gli abbracci di un figlio o le carezze di una moglie, e nemmeno ci si può infilare di traverso per correre al capezzale di un padre morente. Ma lasciano luce sufficiente per far passare cose bellissime, come la passione dei volontari.
Abbiamo parlato di padri, di nonne che si lamentano con il crocifisso e anche di una città invisibile chiamata Cristiania, popolata dai Padri ritrovati. In realtà non so cosa scrivere dei miei studenti di quest’anno. A parte quelli del linguistico ordinario, erano tutti più grandi di me. E ho paura di offendere le vittime fuori.
E in realtà, non so niente di loro. Ho scelto di non aprire i registri di classe che avevo ogni volta sottomano. So però che l’ultimo giorno insieme mi hanno regalato una rosa per la madre di mio figlio, fatta con una saponetta, che ti si spezza il cuore solo a guardarla.Per il mio Giovanni hanno intrecciato un bracciale con il suo nome ricamato sopra, che lui ora mostra fiero ai suoi compagni di scuola.
Hanno letto un mio libro in cui parlo di come è nato mio figlio, dopo una difficilissima gravidanza, quando giravo per gli ospedali con in tasca un foglietto in cui avevo ricopiato un passo del salmo 122, «e se anche dovessi camminare in una valle oscura non temerei alcun male, perchè tu cammini con me». Loro l’hanno incisa su un blocco di legno, scolpito a forma di libro, che ho qui davanti a me, mentre scrivo. Molti di loro cammineranno in una valle oscura per tanti anni, altri non ne usciranno mai, e anche se hanno fatto cose orribili e sbagliate, io vorrei dirgli che anche se non valgo molto come buon pastore e non ho le credenziali del buon gesù, io cammino con loro.
Mi hanno lasciato una poesia, l’ultima volta che ci siamo visti. Inizia così: «Quando ci hanno detto che veniva lo scrittore, abbiamo pensato che sarebbe arrivato il solito professore. Ma quando lo scrittore è arrivato, abbiamo pensato: altro che professore, ci hanno mandato uno zappatore...».
E finisce cosi: «Sappi che uno di noi sei considerato. Grazie per quello che ci hai dato e per la lezione che ci hai lasciato. Speriamo che anche noi qualcosa ti abbiamo insegnato, e che da te saremmo sempre ricordati come lettori, e non come come carcerati».
Mi mancano. Tutti quanti. Questa è la verità.

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IL PROGETTO - Lo scrittore Cristiano Cavina («Inutile Tentare Imprigionare Sogni», da Marcos y Marcos, il suo ultimo romanzo) ha partecipato al progetto «Adotta uno scrittore», con quattro incontri alla Casa di reclusione «Rodolfo Morandi» di Saluzzo. Durante il Salone altri otto scrittori si confronteranno con i detenuti, in incontri aperti al pubblico per «Voltapagina». Venerdì 9, la casa di reclusione di Saluzzo ospita anche Giovanni Floris (ore 11) e Luca Bianchini (ore 15); la Casa di Reclusione San Michele di Alessandria apre le sue porte ad Andrea Vitali (ore 11) e Antonio Pennacchi (ore 16). Sabato 10, Maurizio Maggiani è a Saluzzo (ore 15). Domenica 11, Fabio Volo (ore 11) e Mauro Corona (ore 15) alla Casa Circondariale Quarto Inferiore di Asti; Alessandro Bergonzoni all’Istituto Penale per i Minorenni Ferrante Aporti di Torino (ore 15).