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 2014  maggio 05 Lunedì calendario

COSIMO FERRI, RITRATTO DEL POTENTE SOTTOSEGRETARIO ALLA GIUSTIZIA

Stringe mani, sorride, saluta, ascolta. Parla con tutti e riceve tutti. A Pontremoli, piccolo paesino della Lunigiana dove fin dai tempi di papà Enrico i Ferri hanno costruito il loro feudo elettorale. E a Roma, in via Arenula, nel palazzaccio che lo vede rivestire oggi i panni di sottosegretario alla Giustizia dopo essere stato a lungo e fino a poco tempo fa il leader di una delle correnti più forti e sindacalizzate della magistratura, Mi, Magistratura Indipendente.
Cosimo Ferri, classe 1971, è uno dei pochi ad aver superato indenne il cambio di governo Letta-Renzi, sottosegretario con Enrico, per volontà dell’allora alleato Silvio Berlusconi, e sottosegretario con Matteo, nonostante i mal di pancia del ministro Andrea Orlando, che della riconferma avrebbe fatto volentieri a meno: non per disistima o per rancore personale, ma per evitare sospetti di inciucio con il Caimano, considerata l’amicizia che lega Cosimo a Silvio e a Denis Verdini, e mettersi al riparo da possibili accuse di conflitto di interessi. Che puntuali sono arrivate.
Del resto, non poteva non essere così. Seppure in aspettativa dal tribunale di Massa, dove era giudice della sezione penale, il sottosegretario Ferri continua a essere molto attivo nelle cose della magistratura.
Mi è considerata una sua creatura, le cronache ne parlano come della «corrente di Cosimo Ferri» e nella battaglia in corso all’interno dell’associazione per la scelta dei candidati da spedire al consiglio superiore della magistratura, il potente organo di autogoverno delle toghe presieduto dal capo dello Stato, il pm pontremolese è stato ed è molto attivo.
Il rinnovo del Csm, i cui membri vengono eletti per due terzi dai magistrati e per un un terzo, i cosiddetti membri laici, dal parlamento in seduta comune, è in agenda l’8 luglio. In vista di quella data, dal 25 al 27 marzo scorso le toghe di tutta Italia, anche quelle non iscritte al sindacato (in totale 8.920 magistrati votanti) hanno espresso le loro preferenze alle primarie per scegliere i candidati che devono entrare a far parte dell’organo di auotogoverno: si tratta di 16 componenti del Csm scelti dalla magistratura, 10 giudici, quattro pm e due consiglieri della Corte di cassazione.
Una selezione molto delicata, se si considera che il Csm è l’organo che decide su assunzioni e trasferimenti, sui provvedimenti disciplinari, sull’attribuzione di sussidi ai magistrati e alle loro famiglie, che nomina i magistrati di Cassazione e quelli ordinari, e svolge altre funzioni di rilevanza costituzionale.
Non a caso la Carta assegna al Csm il compito di assicurare l’autonomia e la piena indipendenza della magistratura da ogni altro potere, dunque anche da quello esecutivo, e traccia una netta distinzione tra le funzioni del Csm e quelli del ministero della Giustizia, che deve curare «l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia», ferme «le competenze del Consiglio superiore della magistratura» (articolo 110). Non proprio un lasciapassare per trasferimenti di poltrona dall’una all’altra istituzione.
Le primarie dei magistrati, si diceva. In corsa c’erano i togati di Unicost, lista di centro, quelli di Area, che riunisce le correnti più a sinistra della magistratura, Magistratura democratica e Verdi, e Mi.
Il boom di preferenze l’ha ottenuto proprio la corrente di Ferri e in particolare il candidato sponsorizzato dal sottosegretario, ovvero Luca Forteleoni, pm in servizio presso la procura di Nuoro, che è risultato il più votato con 1.411 voti, seguito dall’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, rappresentante di Unicost, con 1.294 preferenze.
L’asse Ferri-Forteleoni ha scalzato la fronda interna a Mi che aveva proposto candidature meno vicine al sottosegretario, ha raccontato a Lettera43.it un magistrato che conosce bene le vicende politiche delle toghe. Già, perchè proprio come i partiti, anche la magistratura italiana ha le sue lotte intestine per conquistare posti e potere e all’interno delle singole correnti fioriscono correntini e correntoni. Quello che in Mi si ’oppone’ al sottosegretario Ferri fa capo a Marcello Maddalena, procuratore generale presso presso la corte d’appello di Torino e Piercamillo Davigo, consigliere della II sezione penale presso la Corte di cassazione: entrambi, ha raccontato il pm, convinti che «ci sia bisogno di una più netta separazione tra magistratura e politica».
Difficile, se le porte continueranno a essere girevoli. Ma tant’è. Il sottosegretario Ferri formalmente non ha più nulla a che fare con la magistratura, ora è un tecnico prestato alla politica, dice lui. E del resto, al valzer con la politica, non si è mai sottratto, anche quando vestiva i panni del togato.
Cosimo Ferri è figlio di Enrico, politico e magistrato passato dal socialismo al berlusconismo nel giro di pochi anni, dopo un passaggio nell’Udeur di Mastella e Cossiga. Pontremoli è da sempre il feudo di famiglia, ma il nome dei Ferri è noto in tutta la Toscana.
Uno dei tre fratelli, Filippo, è stato capo della squadra mobile di Firenze, prima di essere condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi per le violenze nella scuola Diaz durante il G8 di Genova 2001 (all’epoca guidava la mobile di La Spezia) e approdare poi al Milan, nel 2012, come responsabile della sicurezza.
L’altro fratello Jacopo è consigliere regionale della Toscana da un paio di legislature, in quota Pdl ora Forza Italia. E infine c’è Cosimo, eletto giovanissimo, a soli 35 anni, nel 2006, membro del Csm. Il suo nome è saltato fuori in tre diverse inchieste, Calciopoli, P3 e Agcom-Annozero, ma non è mai stato indagato.
Di lui, l´ex componente dell´Agcom Giancarlo Innocenzi, diceva a Berlusconi che «aveva trovato una chiave interessante» per bloccare i talk show, Annozero in particolare, sui processi di Milano. Era il 2009, incombeva un´udienza Mills, e il Cavaliere era in ansia. Lui, Cosimo Maria Ferri, era per loro «l´amico del Csm»», ha scritto in un articolo del gennaio 2011, Liana Milella su Repubblica. «Di Ferri al telefono parlavano anche Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino, indagati nell’inchiesta P3, per via dei magistrati da promuovere o da trasferire».
Nulla di illegale per il sottosegretario di Pontremoli, che da ex magistrato dovrà ora decidere su un bel po’ di norme che riguarderanno la vita della magistratura, dai salari dei pm alla pubblicazione delle intercettazioni, argomento molto caro al sottosegretario non fosse altro che per biografia, alla riforma della giustizia, con il carico di interessi intrecciati e capriole politiche che si porta dietro.
Qualche anno fa in un’intervista a Panorama, Ferri si era detto fortemenete contrario alla separazione delle carriere tra giudici e magistrati: «Sarebbe nefasta». Chissà ora cosa penserà a riguardo. All’uomo del resto non manca la flessibilità necessaria per distracarsi nei corridoi del palazzo.
Intervistato a marzo 2012 tuonava: bisogna «respingere i tagli sulla retribuzione. Sacrifici per tutti, va bene, ma i nostri sono troppi. Fra indennità giudiziaria e blocco degli automatismi, a seconda degli stipendi noi subiamo tagli fino a 800 euro mensili». Il nuovo ruolo, e la linea dura di Renzi sull’indipendenza delle scelte politiche dalla volontà dei pm, devono avergli fatto cambiare idea: «Gli stipendi dei magistrati sono molto più bassi di quel tetto che è stato giustamente fissato, perché in un momento in cui c’è una crisi, un tasso di disoccupazione che aumenta, le imprese che chiudono, dobbiamo in mettere dei tetti».