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 2014  maggio 04 Domenica calendario

ESSERE MILIONARI NON È UNA COLPA ESSERE MORALISTI SÌ


L’argomento più utilizzato, da chi storce la bocca sui mitici 80 euro in busta paga, è relativo alla copertura. Quello più gettonato, dai difensori di quella scelta, consiste in un attacco nei confronti dei critici: siete ricchi e non capite l’importanza di una simile cifra. Capita spesso che questo argomento sia utilizzato contro Beppe Grillo: milionario. Come se tale qualifica chiudesse il discorso. Da ultimo il ministro Maria Elena Boschi lo ha utilizzato contro Piero Pelù, affrescato cantante che per dire tre parole ha ripetutamente consultato un testo scritto. Solo chi è povero di pensiero può supporre di mettere così a tacere chi è ricco di moneta. Ed è un argomento boomerang. Nei paesi liberi e fra gente libera aver fatto i soldi dovrebbe essere un titolo di merito. Sia che derivino da un’impresa commerciale, dall’ugola o dal saper prendere a calci un pallone, i soldi sono un misuratore del successo. Non l’unico: Amedeo Modigliani morì povero in canna, senza che questo nulla abbia tolto ai suoi dipinti. Il successo crea invidia, ma quando si afferma nel mercato è segno che molti apprezzano il prodotto. Ed è un merito. Chi guadagna molto ed è onesto, inoltre, paga una marea di tasse. Assai più, non solo in valore assoluto (che è ovvio) ma anche in percentuale, di chi guadagna meno. Se non altro per questo si dovrebbe essere loro grati.
IL CONFRONTO
La condanna della ricchezza è un moralismo insopportabile, un fondo di magazzino dell’eterno catto-comunismo. La cosa non può essere liquidata come folkloristica, perché continua a generare guasti: mi sono sentito rispondere, da un parlamentare del Partito democratico, che loro non intendono tassare il «risparmio», ma le «rendite». Ho chiesto quale fosse la differenza e mi ha guardato come il morettiano studente che strologava dei «trent’anni de margoverno democristiano». Chi risparmia punta ad avere una rendita. Solo che, in quel vocabolario moralistico e pauperistico, «risparmio» fa povero che rinuncia a consumare e «rendita» fa ricco che continua a profittare. Bischerate.
Se sei ricco, questo il presupposto, non puoi capire i bisogni di chi non lo è. Argomento sbalorditivo, perché porterebbe a concludere che non c’è un solo governante al mondo in grado di capire un fico secco, dato che non ce ne sono di poveri. E argomento boomerang, perché anche se guadagni bene conosci lo sforzo necessario per affittare una seconda o terza casa in città, mentre non lo conosci se l’affitto te lo paga un altro. Se guadagni e paghi le tasse sai quanto tempo di lavoro è necessario per avere una bella casa in centro, mentre se fai politica e ti danno una casa dell’ente pubblico (per fare l’elenco dei beneficiati non bastano le pagine dell’edizione odierna, e tanti, ma tanti, a sinistra, fra i cultori del popolo povero) sai solo che è fesso chi non ha altrettanto.
LE COPERTURE
L’affidabilità e la credibilità di quel che si dice non dipende dal fatto che si sia ricchi o poveri, ma che si sia onesti o profittatori del carrierismo politico. Il che mette Grillo e Pelù dalla parte dei buoni. E adesso che ce li ho messi non significa affatto che condivida quel che dicono, ma che mi sembra tremulo e vigliaccuzzo pensare di liquidarli sulla base della loro liquidità. Che tale operazione, infine, sia tentata da chi non ha mai lavorato un solo giorno, non ha mai prodotto reddito e ricchezza, ha un che di potentemente ridicolo. Una parola sull’altra obiezione, circa le coperture. Qui abbiamo detto subito che alcune erano ardite, altre acrobatiche. Vedo che i fatti si avviano a darci ragione. Ma le coperture ci sono eccome, e sono quelle chiarite al presidente della Repubblica dal ministro dell’Economia, sono
nelle clausole di salvaguardia: accise, tasse e tagli lineari. Sempre qui sostenemmo che le coperture c’erano anche per il pagamento dei debiti pubblici verso i fornitori privati, complimentandoci per la riscoperta del possibile uso della garanzia offerta dalla Cassa depositi e prestiti. Non ne sento più parlare. Se qualcuno ne ha
notizia, ce la faccia conoscere. Perché, altrimenti, si ha un po’ l’impressione di commentare e illustrare non i fatti della vita collettiva, ma gli oroscopi: ogni giorno vengono letti, dimenticando che quello del giorno prima non ci prese manco di striscio.