Massimo De Angelis, Libero 3/5/2014, 3 maggio 2014
MODELLO FERRAGAMO
La strada più elegante di Firenze, via Tornabuoni, ospita il quartier generale del gruppo Ferragamo. All’interno dello storico Palazzo Spini Feroni si trovano le boutique della Maison, il Museo con
una suggestiva esposizione di calzature e gli uffici dirigenziali. Nel salone al primo piano incontriamo, dopo l’assemblea degli azionisti, il presidente Ferruccio Ferragamo, decisamente soddisfatto per l’andamento societario e il dividendo distribuito.
L’azienda Salvatore Ferragamo è arrivata a superare la soglia del miliardo di ricavi annui. Nel 2013, per l’esattezza, il fatturato ha raggiunto quota 1.258 milioni di euro, con aumenti costanti a due cifre e redditività in crescita. Un notevole risultato nella congiuntura economica attuale: quali i vostri punti di forza?
«I motivi vanno ricercati in più direzioni. Proprio nei momenti di crisi la clientela vuole prodotti di valore, soprattutto legati alla qualità. E noi, da questo punto di vista, garantiamo il massimo. Il Made in Italy rappresenta una leva strategica, un elemento su cui si basa il successo in termine di immagine ma anche di crescita di volumi. Offriamo ai consumatori articoli che vengono riconosciuti come unici perché le nostre lavorazioni artigianali consentono di ottenere qualcosa di veramente speciale. Inoltre l’anticipare i tempi è sempre stata una caratteristica della Salvatore Ferragamo, quindi siamo riusciti a posizionarci in ogni parte del mondo al momento giusto con oltre seicento negozi monomarca, che adesso offrono interessanti ritorni finanziari».
Dal recente bilancio si evince che l’area Asia Pacifico è il vostro primo mercato, dove realizzate il 37% dei ricavi globali. Ritenete che la Cina possa continuare a garantirvi tali performance a lungo?
«Abbiamo creduto nella Cina prima di altri, e oggi stiamo ottenendo risultati commerciali eccellenti, con vendite incrementate del 20% rispetto al 2012. E’ ovvio che non pensiamo a crescite infinite, bensì rimaniamo fiduciosi su una rotazione degli acquisti in grado di mantenere alto il livello di incassi. In questo momento siamo attenti anche al Giappone, dove si può notare una rinnovata fiducia verso il mercato moda. Forse negli anni passati bisognava essere più vicini alle esigenze del popolo nipponico, considerando il notevole indebolimento dello yen e la stagnazione dei consumi locali. E inoltre teniamo sempre un occhio di riguardo per l’America, che in fondo ci percepisce come un prodotto domestico vista la nostra storia partita dalla California».
Un altro fattore vincente potrebbe derivare dalla positiva quotazione in Borsa. Cosa ne pensate?
«L’arrivo in Piazza Affari ha sicuramente contribuito alla visibilità internazionale dell’azienda, mostrando le nostre capacità produttive alla comunità finanziaria. Siamo felici di essere approdati al listino di Milano e a distanza di trentasei mesi si può dichiarare con certezza che rifaremmo il medesimo percorso, senza cambiare nulla».
La società Salvatore Ferragamo realizza circa il 90% del fatturato all’estero e solo il 10% in Italia. Da imprenditore fiero
delle sue radici, questa suddivisione dei ricavi la rende orgoglioso? O preferirebbe maggiori introiti dal nostro Paese?
«Innanzitutto sono orgoglioso perché risulta fondamentale esportare e diffondere l’eccellenze italiane nel resto del globo. Considerando l’intera struttura distributiva, la presenza della griffe Ferragamo si estende in oltre cento nazioni. Le vendite vanno bene ovunque, grazie anche a indovinate partnership estere, e apriremo presto nuove boutique in Brasile e Cina. D’altro canto saremmo felici se i cittadini italiani comprassero di più, ma la situazione economica e il timore di esporsi negli acquisti purtroppo non aiutano. Rimango comunque positi-
vo sul futuro, perché credo nelle enormi potenzialità del nostro Paese, e spero migliori la situazione impiego».
A proposito di occupazione giovanile, da recenti studi le aziende italiane necessitano di 15mila addetti specializzati nel comparto pelletteria. Perché non creare adeguate scuole di formazione?
«La sua domanda giunge a proposito. Innanzitutto, grazie alle misure varate dal governo nel nuovo decreto lavoro, il gruppo Ferragamo può annunciare assunzioni nel breve periodo. Inoltre stiamo attivando specifici corsi nell’istituto “Polimoda” di Firenze. Non solo lezioni di fashion, marketing e design, ma anche formazione nel settore pelle. Quindi tra qualche mese disporremo di manodopera qualificata in tale campo, e bisognerebbe ricordare ai genitori italiani che un modellista oggi può guadagnare più di un architetto o un avvocato. Le aziende del lusso italiane devono sempre rimanere di altissimo profilo».
Così, forse, divengono più appetibili per le multinazionali alla ricerca di interessanti prede. Entità come LVMH o Kering faranno ancora shopping da noi?
«Guardi, non sono contrario alle acquisizioni di marchi italiani da parte di Holding straniere, purché siano serie e operino in maniera lungimirante. Infatti possono fornire know how, sinergie e fondi utili per un proficuo sviluppo societario. Allo stesso tempo ribadisco che non bisogna nel modo più assoluto delocalizzare la produzione, perché in Italia disponiamo di materia prima della migliore qualità e preparazione adeguata».
Il Gruppo Ferragamo è interessato a investire in un’altra griffe di moda?
«Direi di no, non rientra nel nostro Dna. Un marchio bisogna studiarlo e conoscerlo nel profondo prima di prendere una partecipazione o la maggioranza delle quote. Altrimenti si rischia di creare situazioni ibride con scarse possibilità di successo, come è accaduto a noi con la Maison Ungaro. Abbiamo dovuto desistere dal progetto, quindi meglio concentrarsi sulle proprie specificità e capacità».
Concentrandovi sul prodotto Ferragamo siete infatti riusciti a creare abiti, accessori e borse di assoluto livello, nonché scarpe divenute icone nell’immaginario collettivo. Sandali in oro, le celebri ballerine ’Varina’, zeppe colorate in sughero, décolleté con tacco a spillo rinforzato in metallo. A quale creazione siete più affezionati?
«I pezzi iconici rievocano la storia del brand. Devo ammettere di apprezzarli tutti in egual modo, perché sono scaturiti dal genio creativo di Salvatore Ferragamo. Abbiamo in archivio ben 14mila modelli differenti di calzature femminili, alcuni coperti da brevetto, e ogni anno riprendiamo determinati disegni per rivisitare le scarpe ai tempi moderni. Volendo invece aggiungere un’eccellenza per uomo, segnalerei le classiche stringate nella versione “tramezza”. Le utilizzo nel novanta per cento delle mie giornate, di colore marrone bordeaux. Comode, funzionali e durature».
La realtà Ferragamo è nata alla fine degli anni Venti creando a mano esemplari unici per le dive di Hollywood. Suo papà Salvatore incontrava quotidianamente negli atelier attrici e star da copertina. Quale personaggio ha incarnato meglio il vostro stile?
«Potrei citare Anna Magnani, potrei dire Marylin Monroe alla quale abbiamo dedicato nel nostro Museo una splendida retrospettiva, ma alla fine scelgo Audrey Hepburn, simbolo indiscusso di glamour negli anni Cinquanta. Il suo inconfondibile look, dalla camicetta bianca fino alle ballerine made in Ferragamo, resta un esempio di assoluta eleganza. Ineguagliabile».