Tommaso Labranca, Libero 3/5/2014, 3 maggio 2014
PIERO, LA CARICATURA DEL RIBELLE ROCK IN GUERRA COL PREMIER PER L’INCARICO PERSO
Piero Pelù ha il complesso del ribelle. Sono quattro decenni che prova a esserlo, senza successo. Ogni volta che sale su un palco crede di essere Bart Simpson, ma gli viene bene solo l’imitazione di Ned Flanders.
L’ultimo tentativo si è avuto durante il patetico Concertone romano del Primo Maggio. Solita malinconica celebrazione filoguidata dai sindacati che da venticinque anni cercano di far passare sulla compiacente RaiTre l’immagine di una Woodstock giovane e arrabbiata. In realtà si tratta di un affollato capannello dove si consumano canne e panini alla porchetta tra la totale indifferenza verso chi si sta esibendo sul palco.
Allora, per attirare l’attenzione del pubblico, quando il pizzetto da maschera di Anonymous non basta, bisogna dire qualcosa di forte. Pelù ci ha provato e ha detto che Matteo Renzi è il boyscout di Licio Gelli.
Roba forte? Non direi. Sono mesi che Pelù nelle interviste fa capire che tra lui
e l’ex sindaco della sua città non è mai corso buon sangue. E si conosce anche il motivo. Nel 2007 Pelù divenne direttore artistico dell’Estate fiorentina su richiesta dell’allora sindaco Domenici. Si portò a casa 70 mila euro, il doppio di quanto prendeva l’ex curatore, Mauro Pagani. E a furia di eventi il Comune di Firenze spese un milione di euro per un’estate di canti e balli. Nel 2008 Pelù non poté ricoprire l’incarico. L’anno dopo arrivò in Comune Renzi che, più economo della cuoca Petronilla, nominò direttore artistico Riccardo Ventrella che non percepiva stipendio. E Pelù divenne antirenziano. Anche se lui dice no e, il giorno dopo il Concertone, accusa la disinformazione diffusa da Renzi. «Ho lasciato quell’incarico di mia spontanea iniziativa perché non mi piacevano i giochi sporchi che si facevano con il denaro pubblico». A bonifico incassato, le belle parole non sono mai così belle.
Convinto di essere ancora il Pirata del rock, benché l’unico corsaro cui assomigli sia ormai il Pirata Pacioccone del preistorico carosello Fabbri, Pelù do-
po il Concertone ha detto: «Ero posseduto dal ribelle che è dentro di me e comunque la cartina di tornasole è mia madre: mi ha chiamato e mi ha confermato “hai detto tutto bene”». I punk inglesi del 1977 sputavano in faccia ai genitori prima di fuggire negli squat. Il ribelle Pelù, a 52 anni, cita la mamma come fa spesso anche lo chef Tony.
Diffidare sempre di certe sparate del rock. Come dimenticare Sinéad O’Connor che, dopo aver strappato in diretta una foto di Giovanni Paolo II, definendolo il «vero nemico», è diventata una specie di suorina laica. Scommettiamo che tra un paio di mesi Pelù diventerà renziano?
E allora dimenticherà ciò che ha detto sul palco. Per esempio che i celebri 80 euro in busta paga sono un’elemosina. I big dell’arte dovrebbe stare sempre attenti quando toccano l’argomento denaro. Il miliardario Lucio Battisti con villona in Brianza destò scandalo quando nel Monolocale cantò le difficoltà di trovare casa. Pelù, che i suoi successi musicali li ha avuti, farebbe me-
glio a non parlare di soglia della povertà.
E dovrebbe stare attento anche quando utilizza certi frusti stereotipi del rebeldismo prêt-à-porter. «Pagherò le conseguenze di quello che ho detto ma non me ne frega nulla. Questi ragazzi hanno bisogno di sentire qualcuno che dica certe cose. Ormai i mezzi di distrazione di massa sono compatti sulla propaganda. Ci vuole una voce fuori dal coro».
Evidentemente c’è in giro un altro signor Pelù Piero da Firenze che siede sulla poltrona girevole di The Voice of Italy, trasmesso da Rai Due, noto e pericoloso mezzo di «distrazione di massa». Lo stesso omonimo che anni fa aveva ceduto anche alle lusinghe della malefica pubblicità, cantando Sei la mia tribuuu per conto Tim.
E che dire dell’esperienza balcanicobuonista di Il mio nome è mai più, canzoncina pacifista dimenticata come la dalemiana Missione Arcobaleno, con cui il trio Liga-Jova-Pelù cercava di essere gli U2, pur con quei diminutivi da barboncino?