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 2014  maggio 05 Lunedì calendario

«GABRI, SEI TU IL PIÙ FORTE»


GRANDI AMORI
Ha ventiquattro anni Eleonora Duse quando incontra per la prima volta quel ragazzo diciannovenne riccioluto, che è appena arrivato a Roma da Pescara, ma già con tre libri pubblicati. Gabriele d’Annunzio non perde tempo e, dopo melodiose parole, rende ben esplicite le sue intenzioni. Eleonora non le accetta, però il “lupetto d’Abruzzo” gli appare (così scriverà) «molto attraente, i capelli biondi e qualcosa di ardente nella sua persona».
NEL CAMERINO
Qualche anno dopo, al Valle, Eleonora, alla fine di un suo spettacolo, se lo ritrova nel suo camerino. Esile ed elegante nel frattempo si è trasformato in un «azzimato, addobbato, profumato», cronista mondano che insegue i nobili e ne descrive riti e ”divine” abitudini, mescolandosi nelle loro feste, sempre con il taccuino in mano per registrare tutto, proprio tutto. Finché, nel giugno 1892, il poeta scrive la dedica (Alla divina Eleonora Duse) su un esemplare delle Elegie romane. Quando s’incontrano per la terza volta a Venezia, nel 1894, Gabriele ed Eleonora sono famosi e amati dal pubblico. Lei è già considerata la più grande attrice italiana di teatro, è invitata in tutte le parti del mondo, da New York a Buenos Aires, da Berlino a Madrid. Lui ha appena finito di comporre il primo testo teatrale, La città morta, e sta cercando un’interprete degna dell’opera. «Ora spero di poter finalmente tradurre in forme materiali il mio sogno di una tragedia moderna.». S’incontrano all’Hotel Danieli, si parlano appena. Lui appare interessato alla sua arte, si prodiga in cerimonie galanti, la riempie di complimenti. Lei si mostra ancora affascinata dal meraviglioso dono linguistico di lui. Il giorno dopo si separano, per rincontrarsi a Firenze, all’Hotel De Russie. Qui scoppia l’amore, e i due si scambiano i primi baci nei salotti fioriti dell’albergo. Ma non fanno in tempo a passare una notte insieme, lui parte per Pescara e lei per una tournée nell’Europa settentrionale.
L’AMORE
Tutto inizia con parole gioiose della Duse: «Vedo il sole e ringrazio tutte le buone forze della terra per avervi incontrato. A voi ogni bene, e ogni augurio». Parla di lui, che definisce il loro incontro «un incantesimo solare».
L’amore tra la Duse e d’Annunzio anticipò, per certi versi, quel divismo moderno alimentato in questo caso da una vicenda canonica d’innamoramento, passione, disillusione e abbandono ruotante intorno a due eccezionali protagonisti delle cronache mondane. Che diventeranno dieci anni dopo, con il nome di Stelio e Foscarina, i personaggi di un romanzo-verità”. Nel Fuoco, infatti, d’Annunzio fa della donna amata l’oggetto di una crudele vivisezione, descrive con crudeltà “lo sfacelo fisico” della compagna quarantenne. mostrandola tra l’altro ingelosita fino al parossismo dalle frequentazioni femminili. Ne ghermisce il mito svelandone l’aspetto più tormentato, accampa le ragioni della letteratura ed è l’artefice di un trucco d’usurpazione e manipolazione che poi, nell’epoca dei mass-media, è diventato abituale.
LETTERE
Un amore che nasce subito anche con un rapporto epistolare: quello che ora è stato raccolto e “raccontato” nel carteggio, appena uscito, Come il mare io ti parlo (Bompiani, 1407 pagine, 30 euro), a cura di Franca Minnucci. Carte spesso senza data, vergate con inchiostro viola o addirittura a matita, quasi tutte «un magma di parole, una furia fra lettere e telegrammi che procura un senso di vertigine, un’inquietudine profonda» che coprono quasi trent’anni, dal settembre 1894, epoca del primo incontro veneziano, al 1923, dopo il fugace riavvicinamento milanese tra i due ex amanti, con l’ultimo, frettoloso tête-à-tête all’Hotel Cavour dell’estate 1922. La Minnucci, che si è documentata per anni presso gli Archivi del Vittoriale, racconta che il materiale epistolare appartiene quasi esclusivamente alla Duse, le lettere di d’Annunzio sono state distrutte. Probabilmente si deve a Enrichetta, su ordine della madre Eleonora, il falò che ha ridotto in cenere, nel 1924, un tesoro di copioni, manoscritti, lettere, comprese quelle del poeta. Può darsi che si sia tratttato di una «vendetta postuma»: colpire il poeta nel punto per lui più sensibile, la propria scrittura. Certo che lui di questa scelta estrema, turbato e incredulo, si lamenta via telegramma con la stessa Enrichetta: «La distruzione delle mie lettere è un ingiustificabile delitto contro lo spirito». Così nel carteggio le poche schegge dannunziane, fortunosamente salvate, s’inseriscono come piccole macchie, rumori di fondo nel continuo monologo della Duse.
Nella sua enormità materiale, con i moltissimi punti esclamativi, le sospensioni, le esasperazioni, gli intimismi patetici, l’epistolario della Duse (ha ragione Giorgio Barberi Squarotti che scrive la post-fazione) appare un lunghissimo romanzo romantico, proprio sull’orlo estremo del romanticismo letterario quando ormai altre forme d’amore, di scrittura, di vita e d’invenzione si sono ampiamente diffuse. È il racconto di una vita. «Son sazia di queste parole! Da anni ti ascolto dirle. Non ti posso seguire interamente, né interamente comprendere. Quale amore potrai tu trovare, degno e profondo, che vive solo di gaudio», scrive la Duse nel 1904, al momento del commiato. Ed è anche «un incontro di reciproco interesse», come dimostra nella lunga postfazione Annamaria Andreoli. Lo è per la Duse che vuole rinnovare il suo repertorio e legare la propria arte a testi che siano soltanto suoi. Nello stesso tempo il connubio artistico con la più celebrata attrice del tempo permette a Gabriele di avvicinare il pubblico ai suoi miti e alla sua poesia.
Le lettere degli anni successivi alla rottura testimoniano quale devozione continui a legare Eleonora e Gabriele. Frasi strazianti concludono il rapporto, quando lei è già malata di tisi: «Io sento tutta e tutte le forze che straripano in te, e non so andare a nuoto con te, per l’acqua fonda - Sei tu il più forte - E sia - che io sia la più fida - Vale? Non so. Io sento, (e quanto) l’incanto nell’arte che tu stesso sai creare e donare a te stesso? E Goditi il dono! Che più?». Poco prima ha confessato: «Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato». E lui insisterà con Mussolini perché «la salma adorabile» potesse rientrare in Italia al più presto. «E’ morta quella che non meritai».