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 2014  maggio 05 Lunedì calendario

DALL’INGHILTERRA ALLA RUSSIA È TOLLERANZA ZERO. E LA VIOLENZA NEGLI STADI NON C’È PIÙ



I rapporti torbidi e mai recisi con le società, dove affari, opportunismi, ricatti e sudditanze si intrecciano in modo inestricabile. E un sistema penale all’insegna della tolleranza, che rende praticamente impossibile finire in cella a scontare la propria pena a meno che non si ammazzi qualcuno. 
È questo doppio binario a fare sì che l’Italia sia diventata il paradiso europeo degli ultrà, l’ultimo paese della comunità dove si può assistere a scene incredibili come quelle avvenute dentro e fuori dall’Olimpico sabato sera. Dalla Gran Bretagna, alla Francia, alla Germania, alla Russia, non esiste più un solo paese (con l’eccezione forse della Serbia) dove il rimedio alle violenze che avvelenano il calcio sia affidato a pannicelli come il Daspo o la tessera del tifoso. Della sudditanza verso gli ultrà sono buoni testimoni per esempio le squadre di Milano, che entrambe hanno permesso nelle scorse stagioni ai caporioni delle curve di minacciare i giocatori senza reagire: come quando il 24 novembre scorso, agli ultrà rossoneri fu consentito di incontrare faccia a faccia Abbiati e Kakà promettendo ritorsioni se la squadra non avesse mutato atteggiamento in campo. Minacce provenienti da una curva pesantemente infiltrata sia da elementi dell’ultradestra che dalla malavita organizzata, ma cui viene comunque consentito di fare la voce grossa. 
Stessa situazione a Genova, dove nel 2011 a venti teppisti da curva venne permesso di salire sul pullman della Sampdoria. Esattamente il contrario di quanto avvenne a Barcellona quando Joan Laporta, presidente del club balugrana, estromise a forza dal Camp Nou i violenti del Boixos Nois. O a Parigi, dove il Paris Saint-Germain ha sciolto i club ultrà, e cancellato tredicimila abbonamenti. 
In Italia, invece, la prepotenza degli ultrà nasce dalla tolleranza dei club: e poi cresce a dismisura grazie all’indulgenza dei giudici. L’unico ultrà ad avere scontato per intero la sua pena è probabilmente Ivan Bogdanovic, il serbo che si arrampicò sulle cancellate di Marassi. Per il resto, della scarsa severità con cui la magistratura guarda al fenomeno l’esempio più clamoroso rimane il trattamento riservato agli ultrà dell’Inter che nel 2007 assaltarono una caserma dei carabinieri per protestare contro l’uccisione di un laziale. Vennero arrestati in dieci, la mattina dopo non c’era più nessuno in cella. 
In Inghilterra, dove il fenomeno degli hooligans è stato debellato, per finire in cella per 24 ore basta invece il semplice sospetto da parte della polizia. Per gli atti di violenza o per le violazioni al Daspo (che esiste anche lì, ma può durare fino a dieci anni) scatta la condanna penale, contro la quale il tifoso violento può fare appello: ma se l’appello è infondato, la condanna è raddoppiata. In Francia va in galera fino a tre anni chi porta razzi allo stadio, e fino a due anni chi ricostituisce un club disciolto dal ministero degli Interni (possibilità che in Italia non esiste). Persino in Russia il Daspo è più severo che in Italia, visto che può arrivare fino a sette anni, ed in più ai tifosi violenti possono essere ordinate 160 ore di lavori socialmente utili. In Spagna, dove il fenomeno degli hooligans è ben lontano dal raggiungere i nostri picchi di violenza, l’obbligo di prenotare il proprio posto con nome e cognome e restarvi seduto per tutta la partita vale anche per le curve: una norma impossibile da fare rispettare in un qualunque curva italiana. In Germania, altro paese ormai quasi bonificato dagli ultrà, la polizia si è vista riconoscere il diritto di arrestare preventivamente i tifosi violenti.