Raffaella Polato, CorriereEconomia 5/5/2014, 5 maggio 2014
FCA LA SECONDA RIVOLUZIONE AMERICANA IL BILINGUISMO VA SALVAGUARDATO GLI INCENTIVI FIORISCONO A MAGGIO
Questa volta non è concesso sbagliare. Nel business non lo è quasi mai. Ci sono però errori — e in fondo sono la maggior parte — che una qualche chance di rimediare comunque la concedono. Non qui. Non accadrebbe. Non a caso Sergio Marchionne l’avvertenza l’ha fin dall’inizio definita così: «Una strategia non per deboli di cuore».
Non avrà bisogno, forse, di ripeterlo esplicitamente domani. A meno che non voglia sfidare la scaramanzia pure nel giorno del pubblico esame. Giorno lunghissimo, di orari e di sostanza. Saranno le due del pomeriggio, in Italia, quando il numero uno di Fiat-Chrysler darà il via all’investor day . Già tarda sera, quando ogni singolo top manager avrà finito di radiografare brand e aree geografiche e settori di competenza. Notte piena, ormai, quando il big boss riprenderà il microfono per tirare le fila e rispondere agli analisti internazionali prima, alla stampa poi. Una vera maratona, nel quartier generale americano di Auburn Hills, senza spazi morti.
Linee
Del resto il tempo ci vorrà tutto: sono i prossimi cinque anni di industria, investimenti, occupazione, finanza, marketing, vendite (previste o sperate) che il leader e la sua squadra presenteranno all’esigente club degli investitori globali.
Della «strategia non per deboli di cuore», che tradotto significa poi rivoluzione premium, Marchionne non ha peraltro già parlato e basta: l’ha avviata. Ora — domani — siamo al dunque. Lui dovrà essere più convincente di quanto sia mai stato. Dimostrare che quel che a nessuna casa automobilistica è finora riuscito, ossia trasformare in pochissimi anni non un singolo brand ma un intero gruppo da produttore mass market in costruttore d’alta gamma, in Fiat-Chrysler è un traguardo raggiungibile.
Per riuscirci, non gli basteranno le riconosciute doti di «seduttore» dei mercati. Dovranno essere i numeri, gli scenari, i soldi che metterà sul piatto a persuadere chi invita a credere, e dunque a investire, nella «nuova» Fiat Chrysler Automobiles che no, non sono solo promesse, le sue e quelle del presidente-azionista (di maggioranza) John Elkann: il piano con cui ha disegnato il futuro Fca non è una roba da libro dei sogni. Che nel caso, poi, sarebbero incubi.
A favore
Certo, a favore di Marchionne giocano un paio di dati oggettivi. I risultati dei suoi dieci anni al Lingotto. E il fatto che, se domani svelerà quanti miliardi spenderà da qui al 2018, e per quali modelli oltre a quelli già annunciati, e dove nel mondo, e quale fetta spetterà all’Italia riconfermata pilastro europeo della multinazionale, la strategia che adesso ha un contenitore «misurabile» nel piano industrial-finanziario i primi test li ha già superati.
Non ci saranno novità, dunque, sulle linee-guida. Nascono da lontano, dalle prime idee maturate insieme ai successi della 500, e arrivano a una forma ancora embrionale ma già definita con la scommessa Maserati. Anche questo un test. Anche questo un successo: da gloria polverosa, commercialmente morta, in poco più di un anno il marchio ha conquistato i mercati (Usa, Cina, Gran Bretagna i primi tre); con i nuovi modelli va verso un altro raddoppio abbondante della produzione. La risorta fabbrica di Grugliasco intravvede il turno di notte e la saturazione delle linee, in attesa che l’avviata ristrutturazione di Mirafiori completi il binomio del polo del lusso made in Fca .
Ma qui siamo già oltre il test e dentro il cuore del piano. Non era scontato passare dalle poche migliaia di Maserati vendute fino al 2012 alle 37 mila previste per il 2014 soltanto a Grugliasco. E tuttavia anche queste sono state solo, in fondo, le prove generali. Proprio perché il nucleo della nuova «scommessa Marchionne» è moltiplicare sul scala industriale il «modello Tridente», ancor meno scontato sarà replicare il successo premium con i numeri, non più di nicchia, attesi dall’annunciato e fin qui sempre fallito rilancio Alfa.
Ecco. Gira e rigira è sempre al Biscione che si torna. Perché è lì che si gioca l’intera posta. Il business plan 2014-2018 deve consolidare (e possibilmente andare oltre) quel che il matrimonio tra Fiat e Chrysler ha consentito: fare di due gruppi senza un futuro il settimo costruttore mondiale, con l’ambizione di altre scalate (ma a quando il traguardo dei sei milioni di vetture?). Con il che la parola «futuro», a Torino e a Detroit, non è più in bilico su un enorme punto di domanda. Oggi, però. Per «domani» rimane una conquista da sudare. Il porto sicuro, la forza nata dall’unione di due debolezze che ha consentito di superare senza troppi danni la Grande Recessione, deve ancora cementare le basi. E ovviamente ampliarle.
Brand
Jeep (e in proporzione gli altri brand Usa) la propria parte la fa egregiamente: il milione di auto vendute è a portata d’anno. Fiat scommette sulla moltiplicazione della famiglia 500 (che con la «X» sbarca in Italia, a Melfi, insieme alla Jeep Renegade). Ferrari è semplicemente un altro pianeta. Dopodiché: puoi ambire alla palma di costruttore premium continuando a sprecare un marchio come Alfa? Domanda retorica cui lo stesso Marchionne, il salvatore di Fiat e Chrysler, ha più volte risposto ammettendo che sì, il Biscione è il suo fallimento. Ora promette lo stop alle perdite (e agli sfottò dei concorrenti tedeschi) con una gamma finalmente in grado di avanzare in Europa, magari di sbarcare in Cina (punto debole dell’intero gruppo, Jeep a parte), e soprattutto di sfondare negli Usa: non riuscirci, ora che c’è la rete Chrysler, sarebbe la dichiarazione di morte del marchio. E la certificazione di un delitto.
Marchionne giura che non accadrà. Domani spiegherà come farà, a evitare di finire nei panni dell’assassino. Poi conta poco se, nel disegno Alfa, c’è o no lo scorporo di cui qualcuno ha parlato e che lui aveva finora sempre escluso. Infinitamente prima vengono i modelli, dal Suv che dovrebbe essere prodotto a Mirafiori alla Giulia destinata a Cassino (l’ultima nostra fabbrica da «riconvertire»: il miliardo, più o meno, necessario sarà annunciato domani e porterà oltre quota quattro il totale speso nel rilancio degli impianti nazionali).
Obiettivo in entrambi i casi, come già per Melfi e Grugliasco: produrre qui, esportare in tutto il mondo. Con il «dna Alfa» — imprescindibile dall’Italia, e verrà ribadito — il traguardo è raggiungibile. Ma, appunto: «A quel dna è essenziale tornare», per dirla con lo stesso Marchionne. Il quale, subito dopo, assicura: lo vedrete dai modelli, questa volta «tutte» le Alfa sono vere Alfa. Non fosse così, l’intera costruzione crollerebbe sulle fondamenta della scommessa premium. Chiaramente lui lo sa. Ha bocciato-rinviato troppi progetti «non all’altezza di» per non essere, questa volta, più che sicuro.