Massimo Gaggi, Corriere della Sera 5/5/2014, 5 maggio 2014
«LA RUSSIA HA GIÀ SCELTO: VENDERÀ IL GAS ALLA CINA E SARÀ UNA RIVOLUZIONE»
«L’Europa, ancora per alcuni anni, non avrà alternative vere all’approvvigionamento di gas dalla Russia, ma anche per le multinazionali petrolifere Usa e per l’intero mercato mondiale dell’energia un inasprimento delle sanzioni nei confronti di Mosca avrebbe conseguenze immense: ha ragione chi dice che le decisioni di oggi incideranno per decenni sul commercio mondiale».
Daniel Yergin, uno dei più rispettati e ascoltati esperti internazionali del mercato dell’energia, è in grande allarme per l’escalation del conflitto nell’Ucraina orientale. L’analista, considerato il maggiore storico dell’industria petrolifera grazie a libri acclamati come The Quest e, soprattutto, The Prize (Il premio , Sperling & Kupfer) col quale ha vinto il Pulitzer, racconta che nei suoi contatti coi capi dei grandi gruppi dell’energia percepisce smarrimento, più ancora che ostilità nei confronti delle possibili misure restrittive dei traffici.
Gli operatori che si sono impegnati fortemente in Russia, dalla Shell all’Eni, sapevano di certo che lì avrebbero corso anche rischi politici. Del resto petrolio e gas vanno presi dove ci sono.
«E’ vero, ma nel caso della Russia è successo qualcosa di più. Sono stati gli stessi governi, a cominciare da quello americano, a invitare le multinazionali a investire massicciamente in questo Paese. E ciò, nonostante i rischi politici. Anzi, proprio per questo: si pensava che, allargando la cooperazione economica di Mosca con l’Occidente, creando interessi reciproci pressoché indissolubili, il Cremlino avrebbe pian piano rinunciato alla sua aggressività, alla tentazione della contrapposizione politico-strategica con gli Stati Uniti e l’Europa. Ma Putin ha mandato all’aria questi calcoli. Il presidente russo rischia grosso, ma ora l’Occidente non sa come reagire. Deve mostrare fermezza ma non può ignorare che le conseguenze di un embargo allargato a interi settori dell’economia, come l’energia, saranno pesantissime».
Quali sono i trend che individua, nell’ipotesi di un aggravamento del conflitto?
«Sostanzialmente tre: uno spostamento delle forniture di gas russo dall’Europa alla Cina, il crollo degli investimenti esteri in Russia e un’intensificazione degli sforzi per sostituire il gas che l’Europa oggi compra da Mosca con Lng, il gas naturale americano che verrà esportato in forma liquida attraverso l’Atlantico. Ma ci vogliono anni per preparare gli impianti. Tutti, oggi, cercano di concludere contratti con gli Usa che hanno, ormai, vaste riserve di shale gas. Ma le prime forniture arriveranno solo nel 2015-16 e solo dal 2018 diventeranno un fattore importante per l’Europa. Nel 2021 l’America sarà il maggior esportatore mondiale di gas».
Un modello di business completamente diverso per «big oil», le multinazionali degli idrocarburi.
«Beh, non è che si possa passare da un modello all’altro in modo indolore. Come le dicevo, queste società investono massicciamente in Russia da almeno vent’anni, spinte dagli stessi governi. Progetti che spesso hanno un orizzonte, per il recupero degli investimenti, di 30 o 40 anni. Non possono certo andar via da un giorno all’altro. Per questo parlo di smarrimento. Lo “choc” è forte. Credo che, anche se la crisi si risolverà, d’ora in poi i grandi gruppi ci penseranno molto prima di fare investimenti di lungo periodo in Russia».
Chi rischia di più? Dove verranno prese le decisioni più importanti e difficili?
«Gli Usa sono sempre determinanti, sul piano strategico e anche come potenza energetica. Ma stavolta le decisioni più importanti verranno prese a Berlino. La Germania è centrale non solo per il forte impegno in Russia dei suoi grandi gruppi industriali e per le massicce importazioni di gas russo, ma anche perché il Paese sta perdendo competitività proprio sul fronte energetico: ha investito molto in energie alternative, più pulite ma anche molto costose. Senza gas russo, a parte i problemi di approvvigionamento, la competitività del sistema economico sarebbe ulteriormente compromessa».
Il gas russo alla Cina è una minaccia o sta già diventando realtà?
«La scelta di fondo Mosca l’aveva già fatta, e per ragioni economiche: la domanda europea è stagnante. Recessione e demografia non incoraggiano. La Russia ha bisogno di vendere più gas e la crescita può venire solo dall’Asia. La crisi ucraina accentua questa spinta. Ma Pechino è decisa a negoziare con durezza sui prezzi con Mosca. E i russi non vogliono rinunciare a quelli che spuntano nella Ue».