Enrico Marro, Corriere della Sera 5/5/2014, 5 maggio 2014
I RITARDI SUI TAGLI ALLE SPESE
Ieri il governo Renzi ha compiuto 7o giorni. Insediatosi il 22 febbraio, in io settimane ha riunito per 15 volte il consiglio dei ministri. Ha approvato finora 10 decreti legge e 4 disegni di legge, a riprova della difficoltà anche per questo esecutivo di limitare il ricorso alla decretazione. Che spesso si giustifica non, come dovrebbe essere, con l’urgenza del provvedimento, ma con la necessità di assicurare una maggiore efficacia allo stesso, dato che il decreto va convertito iit legge entro 6o giorni e con ridotti margini di modifica in Parlamento. Necessità forte anche per l’esecutivo Renzi, tanto più che il presidente del Consiglio si ritrova con gruppi parlamentari del suo stesso partito, il Pd, spesso critici se non ostili, come si è visto al Senato sul disegno di legge costituzionale che abolisce il bicameralismo perfetto e alla Camera sul decreto legge Poletti che liberalizza i contratti a termine. Tanto è vero che, in questo secondo caso, anche per superare l’ostruzionismo dei grillini, Renzi è dovuto ricorrere al voto di fiducia. Sono già 5 le fiducie che il governo ha chiesto (oltre le 2 d’obbligo sulle dichiarazioni programmatiche): sul decreto legge per prolungare le missioni militari all’estero, sul disegno di legge Delrio che elimina le province elettive, sul decreto enti locali (il cosiddetto Salva Roma), sul decreto Poletti appunto, e sul decreto sulle tossicodipendenze. Fin dall’inizio Renzi ha utilizzato il metodo dell’annunciare provvedimenti che solo dopo alcune settimane vengono approvati dal Consiglio dei ministri. Un modo per costringere la squadra a correre, secondo i suoi collaboratori. Un modo per far propaganda, tenendo a lungo sulle prime pagine dei giornali le sue decisioni, secondo le opposizioni. Vediamo, più semplicemente, a che punto è l’azione di governo, osservando le principali cose fatte, quelle in itinere e quelle solo annunciate.
II bonus È la decisione più importante presa da Renzi. Ottanta euro in più al mese, che dallo stipendio di maggio andranno nelle tasche di io milioni di lavoratori dipendenti con redditi compresi tra 8 mila e 24 mila euro lordi l’anno (tra 24 e 26 mila il bonus decresce rapidamente fino ad azzerarsi). Annunciata con la discussa conferenza stampa delle slide il 12 marzo, la decisione è stata trasformata in legge con un decreto approvato dal Consiglio dei *** ministri il 18 aprile. Obiettivo della manovra: spingere i consumi e per questa via la crescita dell’economia. Per capire se avrà funzionato bisognerà aspettare alcuni mesi. Molto dipenderà dalla capacità del governo di convincere le famiglie che il bonus non è una tantum, cioè solo per il 2014, ma permanente. Questo potrà avvenire solo con la legge di Stabilità per il 2015 che il governo presenterà entro il 15 ottobre. Solo in questo caso, infatti, sarà più facile che il bonus verrà speso anziché risparmiato. E importante ricordare, infatti, che il decreto legge del 18 aprile copre il bonus solo per 2014. Fatto.
L’occupazione Sul tema il governo è intervenuto con due provvedimenti. Un decreto legge che allunga da un anno a tre anni la durata massima dei contratti a termine senza causale e che elimina una serie di vincoli per le aziende sui contratti di apprendistato. II provvedimento deve essere convertito entro il 19 maggio, pena la decadenza E passato alla Camera col voto di fiducia, è stato modificato in commissione al Senato, dove dovrebbe essere approvato questa settimana per poi tomare alla Camera. Salvo sorprese sarà convertito in tempo. II secondo provvedimento è un disegno di legge delega che prevede, tra l’altro, la riforma degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, mobilità, ecc...) e l’introduzione del contratto di inserimento a tutele progressive. Dopo l’approvazione del Parlamento il governo avrà circa un anno per emanare i decreti di attuazione della delega. Molto prima, invece, l’esecutivo dovrebbe risolvere il problema delle risorse in più che servono nel 2014 per finanziare la cassa integrazione in deroga. Secondo le Regioni i soldi stanno finendo e serve con urgenza almeno un miliardo. I sindacati dicono un miliardo e mezzo. Il governo non sa dove trovarli. In itinere (fatto al 50%).
La pubblica amministrazione Nel suo cronoprogramma Renzi aveva annunciato la riforma per aprile. È stata presentata il 30, ma solo come un elenco di 44 proposte sottoposte a una consultazione pubblica online fino al 3o maggio. Poi, il 13 giugno, il consiglio dei ministri approverà i provvedimenti di legge. Renzi ha detto che sicuramente ci sarà un disegno di legge delega mentre vorrebbe evitare il decreto. Su alcune proposte c’è già un largo consenso, indipendentemente dalla consultazione, e il governo avrebbe potuto provvedere. Per esempio, sull’introduzione del pin, il codice personale col quale sbrigare online tutte le pratiche con gli uffici pubblici, tanto più che lo stesso Renzi ha ammesso che ci vorrà un anno, dal momento dell’approvazione della legge, per darlo a tutti i cittadini. Ma si poteva senz’altro decidere anche sulla standardizzazione della modulistica; sull’incrocio delle 128 banche dati, che non dialogano tra loro e potrebbero risultare decisive per combattere l’evasione fiscale; sulla messa online di tutte le spese di tutte le amministrazioni; sull’accorpamento di Aci, Pubblico registro automobilistico e Motorizzazione civile; sulla fusione in una delle 5 scuole per i dirigenti; sul censimento di tutti gli enti pubblici. E invece anche per conoscere la sorte di queste proposte bisognerà aspettare i113 giugno. Quando si vedrà anche che fine avranno fatto le proposte più controverse. Alcune sembrano di difficile realizzazione pratica, visto che nessun governo ci è riuscito: dalla mobilità obbligatoria per i dipendenti alla licenziabilità dei dirigenti, dal demansionamento per evitare di finire tra gli esuberi agli aumenti di retribuzione legati al merito. Annunciato.
La spending review La revisione della spesa pubblica è uno dei capisaldi della politica economica del governo. Alcuni tagli sono stati realizzati, per lo più di natura simbolica, come i 371.400 euro incassati con la vendita all’asta online delle prime 52 auto blu dei ministeri. Una seconda asta è in corso e si concluderà il 16 maggio. Obiettivo: cedere in tutto 151 auto blu. Un piccolo segnale anche la decisione, presa il 4 aprile, di chiudere 4 ambasciate (Honduras, Islanda, Santo Domingo, Mauritania) e la rappresentanza presso l’Unesco a Parigi, che verrà assorbita dalla rappresentanza italiana all’Ocse, sempre nella capitale francese. Il governo, con il voto di fiducia, ha portato a casa anche la legge Delrio (presentata sotto il governo Letta) che abolisce le province elettive: una riforma importante dal punto di vista politico, molto meno per i risparmi che potrà generare (i 6o mila dipendenti delle Province passeranno infatti agli altri enti locali). Più consistenti i tagli per 3,1 miliardi di spesa pubblica nel 2014 messi tra le coperture del decreto bonus: 2,1 dovrebbero venire da tagli a carico di ministeri, regioni ed enti locali (zoo milioni ciascuno), ma questi ultimi hanno già detto che non sanno come fare. E nessuno ha capito dove il governo troverà i 14 miliardi di euro di tagli di spesa annunciati per il 2015 e da decidere con la prossima legge di Stabilità per confermare anche nei prossimi anni il bonus di 8o euro. In itinere (fatto al 25%).
Le riforme istituzionali Ruotano intorno a due provvedimenti, il cui cammino si è fatto molto più difficile di quanto il presidente del Consiglio immaginasse: la riforma elettorale e l’abolizione del Senato elettivo. Su entrambi Renzi, ancor prima di entrare a Palazzo Chigi, aveva raggiunto, da segretario del Pd, un accordo con il leader dell’opposizione Silvio Berlusconi (il cosiddetto patto del Nazareno). La tabella di marcia iniziale prevedeva l’approvazione entro aprile dell’ dtalicum», la nuova legge elettorale che introdurrebbe per la prima volta nelle elezioni politiche la possibilità del ballottaggio tra le prime due liste o coalizioni se nessuna supera il 37%. Sempre entro il mese appena passato, era ipotizzata l’approvazione in almeno uno dei due rami del Parlamento del disegno di legge costituzionale per l’abolizione del Senato elettivo. Le cose sono andate diversamente. I provvedimenti procedono con ritardo. L7talicum, frutto dell’integrazione e correzione di progetti di legge già in discussione in Parlamento, approvato alla Camera, è ora all’esame delle commissioni in Senato. B disegno di legge costituzionale, che oltre al bicameralismo perfetto corregge anche il Titolo V della Costituzione (federalismo), è stato varato dal Consiglio dei ministri il 31 marzo. Attualmente è fermo alla commissione Affari costituzionali del Senato. Renzi ha spostato l’obiettivo della prima approvazione al io giugno. W ricordato che i disegni di legge costituzionali richiedono 4 voti, cioè la doppia approvazione in Camera e Senato. Sia in Forza Italia sia nel Pd sono in corso importanti ripensamenti sull’intero pacchetto. La prospettiva che il secondo partito possa essere non quello di Berlusconi ma quello di Beppe Grillo, ipotesi che andrà verificata alle elezioni europee del 25 maggio, genera ripensamenti sull’opportunità di introdurre una legge elettorale col ballottaggio, mentre Forza Italia fa marcia indietro rispetto al Senato delle Regioni (darebbe un vantaggio al Pd) e rilancia il presidenzialismo. In itinere (fatto al 20%).
*** I pagamenti alle imprese «Entro luglio pagheremo 68 miliardi di euro di debiti arretrati con le imprese», aveva annunciato Renzi il 12 marzo presentando il disegno di legge approvato in Consiglio dei ministri che, attraverso la garanzia della Cassa depositi e prestiti, favorisce la cessione alle banche dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione. Nei 68 miliardi erano compresi i 22 già pagati nel 2013 sui 47 miliardi messi a disposizione dai provvedimenti del governo Letta per il biennio 20132014. A questi 47 miliardi Renzi ne ha aggiunti 13 con il decreto bonus, che ha fatto propria anche la garanzia della Cdp. II totale sale così a 6i miliardi, un po’ meno dei 68 annunciati. Ma il pagamento effettivo è fermo a 23,5 miliardi, secondo l’ultimo monitoraggio del ministero dell’Economia fermo al 28 marzo. Anche ipotizzando un’accelerazione nell’ultimo mese, l’obiettivo di pagare 6i miliardi resta molto lontano. In itinere (fatto al 40%).
Il riassetto di Palazzo C Sarà la presidenza del Consiglio a dare l’esempio, ha più volte spiegato Renzi, riferendosi alla necessità di ruotare gli incarichi dei dirigenti pubblici, di fissare un tetto alle retribuzioni, di legare la parte variabile dello stipendio ai risultati. II tetto di 24o mila euro lordi annui, pari a quanto prende il presidente della Repubblica, è stato deciso per tutti i dirigenti pubblici e per i manager delle società pubbliche non quotate (escluse Poste, Ferrovie e Cdp perché emettono obbligazioni) con il decreto bonus. A buon punto è anche la riorganizzazione di Palazzo Chigi, con la rotazione dei capi dipartimento. Sono in via di costituzione le due unità di missione, una per l’edilizia scolastica e l’altra per la difesa del suolo. Quanto alla cabina di regia per l’eco -nomia con a capo Yoram Gutgeld niente è stato ufficializzato, né il previsto trasloco del commissario per la spending review, Carlo Cottarelli, dal ministero dell’Economia a Palazzo Chigi risulta avvenuto. Infine, sulla trasparenza, bisognerà attendere fino al 24 maggio, quando scade il termine di legge per la pubblicazione dei redditi e della situazione patrimoniale del presidente del Consiglio e dei ministri. La casella di Renzi sul sito di Palazzo Chigi è ancora vuota. In itinere (fatto al 7o%).