Serena Danna, Corriere della Sera - La Lettura 4/5/2014, 4 maggio 2014
LE CENSURE SONO TRE: ISOLAMENTO CINESE, APATIA RUSSA E PAURA
A pronunciare la frase che dà il titolo al lavoro di Emily Parker Now I Know Who My Comrades Are («Adesso so chi sono i miei compagni») è stato Zhao Jing, nome in codice Michael Anti, blogger cinese più volte vittima della censura governativa di Pechino. «Internet mi ha reso quello che sono oggi», afferma nel libro il cyberattivista, il cui blog è stato rimosso da Microsoft nel 2005.
Eppure anche una imponente macchina censoria come quella del grande firewall cinese può poco davanti alla vastità della Rete: per ogni blog cancellato, ne nascono centinaia nuovi. «Il flusso dell’informazione online — scrive Parker — non si può mai controllare del tutto».
È dalla difficoltà tecnica di mettere catene a internet che proviene forse l’ottimismo dell’ex consulente per l’innovazione e la tecnologia di Hillary Clinton al Dipartimento di Stato. «I regimi — si legge nel libro — possono censurare contenuti e bloccare interi siti. Cercano di influenzare le discussioni online, di spiare chi crea problemi, di intimidire e arrestare i blogger, ma non sono forti abbastanza per bloccare la trasformazione psicologica che sta prendendo piede tra i netizen».
Ai cittadini del web che convivono con regimi autoritari è dedicato il libro della ricercatrice della New America Foundation: una panoramica, a volte romanzata, di blogger, militanti politici e cyberattivisti alle prese con minacce e arresti.
Perché ha deciso di concentrare i suoi studi su Cina, Russia e Cuba, escludendo — ad esempio — un Paese come l’Iran?
«Ho scelto i Paesi a cui ho avuto accesso, quelli che conosco molto bene e in cui ho potuto realizzare un massiccio lavoro sul campo. Inoltre Cina, Cuba e Russia rappresentano rispettivamente i tre modelli più usati dai regimi autoritari nella gestione di internet: l’isolamento, la paura e l’apatia. A Pechino e Mosca i sistemi di sorveglianza sono più sofisticati, ma a Cuba c’è una dimensione paranoica di controllo fisico: l’accesso al web è scarsissimo. Se sei seduto in un internet café, hai ottime probabilità di essere circondato da informatori. È un sistema fondato sulla paura. In Cina, al contrario, il regime punta a isolare i dissidenti, i quali però, come insegna Michael Anti, scoprono sulla Rete di non essere soli».
Il presidente russo Vladimir Putin ha recentemente definito internet «un progetto della Cia» e avviato una serie di provvedimenti che autorizzano il governo a bloccare siti senza autorizzazione del tribunale e che equiparano le responsabilità di blog con più di 3 mila lettori a quelli di testate giornalistiche. Lo scorso mese la direttrice del sito di opposizione lenta.ru è stata licenziata dall’editore. Cosa sta succedendo?
«Alla fine del 2011 in Russia si sono verificate molte proteste, organizzate anche grazie ai social media. Da allora le autorità hanno cominciato a prendere il web più seriamente: hanno capito che è uno strumento pericoloso. Aleksej Navalny è diventato un leader dell’opposizione grazie al suo blog, dove pubblicava inchieste sulla corruzione del governo e denunciava le attività illecite di deputati e funzionari pubblici. La battaglia del Cremlino contro internet si inserisce nel piano più generale di guerra al dissenso. Putin sta mandando un fortissimo segnale al mondo: non tollererà alcun dissenso, che sia in Rete o in strada».
Lei scrive che i metodi di Putin sono «legali». Può spiegarci in che senso?
«Ad esempio la legge che ha citato lei, quella che autorizza il governo a bloccare un sito senza l’autorizzazione del tribunale, è stata ideata per proteggere i bambini dalla pedofilia online. Eppure tutti sanno che è solo un pretesto».
Come reagiranno gli attivisti digitali russi alla stretta del Cremlino?
«Sicuramente molti cittadini con idee liberali verranno scoraggiati dalle azioni del governo. Ma altri troveranno nuove strade per aggirare la censura, ad esempio utilizzando i cosiddetti “siti specchio” (le pagine del sito censurato vengono duplicate in luoghi sicuri, ndr). Molti cinesi riescono a bypassare la grande protezione cinese usando reti private o server proxy (computer che fungono da intermediari tra il pc dell’utente e internet, ndr). Sicuramente anche i russi troveranno la loro strada».
Sembra molto ottimista sulla capacità di internet di intervenire sui regimi autoritari. La potenza del web è un’arma nelle mani degli attivisti che diventa forse ancora più potente nelle mani dei governi.
«Tante persone ancora si domandano se internet sia buona o cattiva o chi vincerà nella battaglia per la libertà della Rete. Non è così semplice: stiamo parlando di vita vera, non di un videogioco. Certo, ci sono governi autoritari che monitorano e censurano il web, e migliaia di attivisti di internet che vengono assaliti e arrestati ogni giorno. Più internet diventerà una forza potente per il dissenso, più i governi autoritari aumenteranno gli sforzi per controllarla. Chiaro che c’è spazio per i “cattivi”, così come ci sono tanti movimenti antidemocratici che si rafforzano grazie ai forum. Ma ci sono anche tante storie positive. Now I Know Who My Comrades Are parla di persone reali: di blogger cubani come Yoani Maria Sánchez Cordero, che hanno superato le paure e deciso di alzare la voce. Dei russi che vincono la loro apatia e cercano di combattere la corruzione. Di normali cittadini cinesi che trovano modi per ricevere e condividere informazioni, nonostante la terribile censura e autocensura del Paese. Il mio libro parla di persone che si alzano in piedi per loro stessi e per difendere gli altri. Storie così mi fanno sentire inevitabilmente più ottimista verso il genere umano».
Come consigliera del Dipartimento di Stato americano con Hillary Clinton ha seguito le rivolte arabe per studiare il ruolo svolto dalla Rete e, in particolare, dai social media. Anche alla luce dei risultati politici delle proteste, non crede che il ruolo dei social media sia stato più mediatico che reale?
«Non ho mai sentito nessuno dire che i social media avrebbero garantito democrazia e stabilità all’Egitto. Twitter e Facebook non hanno causato la Primavera araba ma hanno avuto un ruolo molto importante nell’organizzazione delle proteste che hanno portato alla caduta del regime di Mubarak. I social media non hanno poi avuto la stessa forza nel costruire nuove strutture democratiche. Questa è una lezione molto importante per i cyberattivisti di tutto il mondo: non è sufficiente far crollare un regime, devi pensare a che tipo di governo e persone prenderanno il suo posto».
Hillary Clinton ha detto che Edward Snowden, l’ex tecnico della Cia che ha svelato la macchina di sorveglianza della Nsa (l’agenzia per la sicurezza nazionale), con le sue rivelazioni avrebbe «aiutato i terroristi». Lei è d’accordo con il suo ex capo?
«Le persone finalmente oggi si fanno domande sulla privacy, e questo è molto importante. Allo stesso modo, credo che le rivelazioni di Snowden abbiano complicato la politica estera americana e indebolito gli sforzi per garantire la sicurezza nazionale».