Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera - La Lettura 4/5/2014, 4 maggio 2014
UN CUPOLONE DI TESTI. ALLA RICERCA DELLA PAROLA
In principio era la Parola. O forse si potrebbe cominciare da quell’umanista amico di Leon Battista Alberti che si chiamava Tomaso Parentucelli e da Sarzana, in Liguria, arrivò fino al Soglio di Pietro nel 1447, eletto con il nome di Niccolò V. La sua cultura era leggendaria. Enea Silvio Piccolomini, grande autore dei Commentari nonché futuro Papa Pio II — per capire il personaggio, uno che alla caduta di Costantinopoli, conquistata dagli Ottomani nel 1453, per dare il senso della tragedia epocale commentò: «È la seconda morte di Omero e Platone» — lo conosceva bene e di lui diceva: «Ciò che non sa è al di fuori del campo della conoscenza umana». Quando Niccolò V morì, nel 1455, aveva lasciato una biblioteca papale quadruplicata, più di milleduecento codici, disponendo che fosse aperta alla consultazione degli studiosi: di fatto l’atto di nascita della Biblioteca Apostolica Vaticana, poi istituita da Sisto IV con la bolla Ad decorem militantis Ecclesiae (15 giugno 1475), oggi una meraviglia di ottantamila fra codici paleocristiani e manoscritti greci, arabi, persiani, copti, ebraici e così via, un milione e 600 mila volumi rari o spesso unici e tra questi 8.600 incunaboli e decine di migliaia di cinquecentine, insomma la più preziosa biblioteca umanistico-rinascimentale del mondo.
Mica per niente, il biglietto da visita della Santa Sede a Torino — lo stand del Lingotto è un cupolone fatto di libri, la pianta riprende il progetto di Bramante per la nuova Basilica — saranno alcuni dei gioielli custoditi dalla biblioteca dei Papi: un foglio originale dell’Inferno di Dante illustrato da Sandro Botticelli (la celeberrima sezione della voragine infernale e, sul verso, l’incontro del poeta con le tre fiere), un’Iliade del 1477 in greco col testo latino a fronte, il Libro d’ore miniato da Francesco Rosselli, cui si devono col fratello Cosimo alcuni affreschi quattrocenteschi della Sistina, più dei fac-simile come la Geographia di Tolomeo (la prima versione in latino, del 1460-70), la Bibbia Urbinate di Federico da Montefeltro o l’autografo del Canzoniere di Petrarca. Opere sacre e opere profane.
Non è questione di passione da eruditi o bibliofili. Lo studio e l’interesse per i libri risale alle origini — se la Biblioteca vaticana nasce nel Quattrocento, lo Scrinium della Chiesa romana con i libri dei Papi risale al IV secolo e la figura del Bibliothecarius all’VIII — e ha a che fare con l’essenziale: «La Santa Sede sta volentieri in un mondo come il Salone di Torino, per questo non siamo mai stati una biblioteca “religiosa”, come alcuni credono, e conserviamo dai primi secoli tutti i libri», sorride monsignor Cesare Pasini, studioso di agiografia bizantina e paleografia greca, dal 2007 prefetto della Vaticana. «Il cristianesimo non è una religione del libro ma di una Parola che si incarna e viene tramandata attraverso le Scritture. Ogni libro è il frutto maturo del lavoro di chi cerca la verità, una ricerca che umanisticamente parlando richiede fatiche, collaborazioni, confronti, un approccio alla verità da vicino o da lontano che fa da contesto a quella offerta di verità che sono le Scritture» spiega. «Papa Francesco parla di periferie: ecco, andare alle periferie, in tema di libri, vuol dire uscire verso quei luoghi nei quali si cerca la verità, verso i libri che esprimono questa ricerca. Pensi a ciò che fece Tommaso d’Aquino con la filosofia di Aristotele...».
Resta memorabile ciò che disse Benedetto XVI nel 2008, Parigi, quel discorso al Collège des Bernardins che rappresenta uno dei momenti più alti del suo pontificato: la riflessione sul monachesimo che custodì e trasmise il sapere antico e fondò la cultura europea e occidentale perché l’obiettivo dei monaci era «quaerere Deum, cercare Dio»; la biblioteca che indica le vie verso la Parola «poiché nella Parola biblica Dio è in cammino verso di noi e noi verso di Lui, bisogna imparare a penetrare nel segreto della lingua, a comprenderla nella sua struttura e nel suo modo di esprimersi».
La presenza della Santa Sede come «ospite d’onore» a Torino, impostata con Ratzinger, si compie ora con il suo successore. Fra i cinquecento titoli che esporrà la Libreria Editrice Vaticana, che affonda le radici nella «stamperia» fondata da Sisto V nel 1587, spiccano «le parole di Francesco», i volumi che ne raccolgono gli interventi, proprio il tema sul quale interverrà sabato 10 il Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin. Alla vigilia il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio Consiglio della Cultura, dialogherà con lo scrittore Claudio Magris; domenica il libro La verità è un incontro (Rizzoli) con le omelie di Francesco a Santa Marta sarà presentato da padre Federico Lombardi, portavoce vaticano, dal direttore de «La Civiltà Cattolica», padre Antonio Spadaro, dal filosofo Giovanni Reale e dal critico Aldo Grasso.
Giovane gesuita, Bergoglio insegnava letteratura al Colegio de la Inmaculada Concepción di Santa Fé, nel 1965 invitò Jorge Luis Borges a fare lezione ai suoi studenti, tra gli autori più amati ci sono Hölderlin e Dostoevskij, a cominciare dalle Memorie del sottosuolo . «La Chiesa è sempre stata presente nei luoghi dove si elabora la cultura. Il primo obiettivo è sempre la priorità ai poveri; ma dobbiamo anche andare alle frontiere dell’intelletto, della cultura, nell’altezza del dialogo, del dialogo che fa la pace, del dialogo intellettuale, del dialogo ragionevole. È per tutti, il Vangelo!», ha spiegato l’anno scorso Francesco aprendo il convegno della diocesi di Roma: «Andare verso i poveri non significa che noi dobbiamo diventare pauperisti, o una sorta di “barboni spirituali”! No, no, non significa questo! Significa che dobbiamo andare verso la carne di Gesù che soffre; ma anche soffre la carne di Gesù di quelli che non lo conoscono con il loro studio, con la loro intelligenza, con la loro cultura. Dobbiamo andare là! Perciò a me piace usare l’espressione “andare verso le periferie”, le periferie esistenziali. Tutti, tutti quelli: dalla povertà fisica e reale alla povertà intellettuale che è reale, pure».