Stefano Agnoli, Corriere della Sera 4/5/2014, 4 maggio 2014
«UN ANNO PER LA RETE EUROPEA DEL GAS»
L’acquisto dalla controllante Cassa Depositi e Prestiti del gasdotto austriaco Tag, quello che porta il metano dalla Russia, si concluderà entro settembre, e potrebbe portare il socio pubblico di Snam al 33-34% dal 30% attuale. Un po’ più di tempo ci vorrà invece per concludere l’alleanza allo studio con la belga Fluxys, che prevede una società comune per gestire le infrastrutture europee. Una joint-venture gestita paritariamente, anche se sulle quote di proprietà la discussione non è ancora entrata nel vivo. A Carlo Malacarne, amministratore delegato di Snam, la società che da sempre trasporta e distribuisce il gas in Italia (e in Europa), il lavoro non è mancato neppure questo inverno, anche se il clima mite e la crisi hanno fatto sì che i consumi di gas rimanessero più o meno sugli stessi livelli di dodici mesi prima. Resta delicata la situazione sul versante dei rapporti Mosca-Kiev, malgrado il paradosso che «rispetto all’anno scorso l’import di gas dalla Russia sia aumentato del 30%». Come mai? Probabile che le rinegoziazioni dell’Eni con gli altri Paesi fornitori (Algeria, Libia, Norvegia) abbiano pesato sulle scelte di importazione e le politiche commerciali del Cane a sei zampe.
Il rischio di interruzione delle forniture di gas russo resta elevato?
«Vede, un basso o alto livello di rischio non dipende sempre dai consumi totali, ma anche dal grado di flessibilità che si riesce ad avere. Con gli stoccaggi pieni e con la possibilità di massimizzare il gas in arrivo dalle altre fonti una mancanza completa di gas russo non dovrebbe creare criticità».
Uno dei cardini della strategia energetica nazionale è fare dell’Italia un hub del gas, una piattaforma strategica utilizzabile dagli altri Paesi. Ma con consumi e prezzi in calo e l’affermazione delle rinnovabili ha ancora senso?
«Ne ha ancora di più. Un esempio? L’Italia consuma oggi circa 70 miliardi di metri cubi di gas contro gli 85 miliardi del 2008. Eppure anche con 15 miliardi in meno siamo sempre qui a parlare di “emergenza gas”. Ciò che serve è garantire la necessaria connessione e liquidità dei mercati, cioè la libertà di comprare o vendere senza che i costi della logistica incidano troppo. Se l’Italia rimanesse solo un Paese di consumo il prezzo del suo gas resterebbe più elevato e anche per questo motivo da anni lavoriamo sul reverse flow dei gasdotti, sulla possibilità di un flusso nelle due direzioni».
A che punto siete?
«Già oggi, che si parla di spostare gas verso i Paesi più dipendenti dalla Russia, saremmo in grado di esportare da Tarvisio verso l’Austria 20 milioni di metri cubi al giorno, 6 miliardi l’anno. Sulla direttrice Nord-Sud, verso Svizzera e Germania, siamo a 2 miliardi di metri cubi l’anno e dal 2016 saliremo a 6 miliardi».
Resta isolata la rete Tigf nel sud della Francia, che avete acquistato di recente…
«Non è così: è vero che la Francia ha tre aree geografiche che non sono ancora efficientemente interconnesse, ma sta cercando di unificarle, e quella del nordest ha un collegamento con la Svizzera. Un investimento che potrebbe realizzarsi in 4-5 anni. Senza dimenticare che la nostra presenza è strategica per il collegamento con la Spagna e i suoi 60 miliardi di metri cubi di capacità di rigassificazione».
Si parla tanto dello shale gas Usa da trasportare in Europa. Il suo prezzo è un terzo di quello europeo e un quarto di quello asiatico. Ma è realmente conveniente?
«Diciamo che se si aggiungono i costi della liquefazione e del trasporto ci si avvicina ai prezzi europei. Negli Usa si stanno attrezzando all’esportazione, ma saranno necessari almeno altri 3 anni. In più, lo shale gas non potrà sostituire i 130 miliardi di metri cubi che arrivano ogni anno in Europa dalla Russia».
Ritiene che sia una strada da percorrere o no?
«È una possibilità che non sarà né immediata, né risolutiva, ma che offre comunque aspetti positivi quanto alla sicurezza di approvvigionamento. E per noi più diversificazione di fonti c’è, meglio è».
A che punto sono le trattative con Cdp per il gasdotto austriaco?
«Siamo in attesa dell’autorizzazione dell’Antitrust europeo che certifichi il suo stato di operatore indipendente. Speriamo di concludere entro settembre».
Si farà un aumento di capitale riservato alla Cassa?
«Stiamo cercando di gestire l’operazione in questo modo, rafforzerebbe anche la nostra struttura di capitale. La Cassa potrebbe salire al 33-34% dal 30% attuale».
In futuro Gazprom potrebbe avvalersi della clausola che le consente di consegnare il gas direttamente a Tarvisio, prendendosi i diritti di trasporto. Non è un pericolo?
«Che in futuro ci possa essere una maggiore presenza sulle reti dei produttori di gas lo do per scontato, ma non mi preoccupa perché nessuno avrà esclusive sul trasporto».
E gli accordi con la belga Fluxys per una società comune delle reti europee? Avrete più del 50%?
«Non siamo arrivati a parlare di questo e abbiamo davanti un anno per valutarlo. Ma la questione non è il valore delle reti che conferiremo, quanto la loro gestione commerciale, che dovrà essere in comune. L’idea è che con un solo contratto con noi un operatore possa spostare il suo gas in tutta Europa».
Rinnovabili, incentivi, centrali a gas a rischio, risorse nazionali. Ha parecchie questioni da affrontare anche come presidente di Confindustria Energia…
«È vero. I problemi sono evidenti, ma un’analisi di quale debba essere il mix energetico ottimale per il Paese o quali debbano essere le linee guida di una politica industriale nell’energia non è mai stata fatta. Inizieremo con il mettere intorno a un tavolo tutti gli associati dell’energia, e ci proveremo».