Massimo Gaggi, Corriere della Sera 4/5/2014, 4 maggio 2014
TV A BUON MERCATO, CURE PIÙ COSTOSE IL MONDO RACCONTATO DAI PREZZI
L’homeless che dorme sotto i ponti in un giaciglio di stracci con un pezzo di cartone come tetto, ma che non rinuncia al telefonino. Famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese pur lavorando a tempo pieno, ospitate in shelter comunali dove i loro bimbi vivono in povertà, mangiano cibi scadenti, ma non rinunciano alla tv con maxischermo e alla playstation. Negli Stati Uniti — ma il discorso vale, almeno in parte, anche per il resto del mondo industrializzato, e per l’Italia — combattere l’indigenza sta diventando sempre più difficile non sono perché la globalizzazione e l’automazione dei processi produttivi accentuano le diseguaglianze sociali, ma anche perché la rivoluzione dei prezzi di beni e servizi rende più complicato stabilire quali sono le condizioni di bisogno per le quali è più necessario l’intervento delle politiche sociali di sostegno.
La compassione verso gli ultimi del mondo spesso si appanna quando tra le loro mani compaiono oggetti, soprattutto prodotti elettronici, che siamo abituati a considerare simboli del moderno benessere. E alcuni centri di ricerca della destra conservatrice Usa come la Heritage Foundation di Washington, hanno prodotto analisi con le quali cercano di dimostrare che, anche quando sono alle prese con un calo del loro reddito da lavoro, i proletari del XXI secolo possono ancora migliorare il loro tenore di vita acquistando un maggior volume di alimenti e di beni di consumo grazie ai prodotti importati a basso costo (soprattutto dalla Cina) e all’efficienza delle reti della grande distribuzione che sono riuscite a garantire prezzi in diminuzione non solo per tv, computer, giocattoli e telefonini, ma anche per abbigliamento, veicoli, trasporto, cibi prodotti industrialmente. Che povertà è — si chiede uno studio della Heritage — quella di famiglie che hanno a casa l’aria condizionata?
Un’analisi assai discutibile come sappiano ormai da tempo perché al calo dei prezzi dei prodotti industriali corrisponde l’aumento, spesso molto superiore, del costo di servizi essenziali per la società e soprattutto per le sue fasce più vulnerabili: vale per la sanità, l’istruzione, l’assistenza all’infanzia. Un condizionatore cinese negli Usa può costare 99 dollari e l’energia può costare poco se nei dintorni ci sono miniere e centrali elettriche che bruciano carbone. Sono i limiti di uno sviluppo sociale squilibrato (oltre che inquinante), del progressivo schiacciamento dei ceti medi.
È stato anche per far fronte a questa situazione che, fin dall’inizio della sua presidenza nel 2009, Barack Obama ha tentato (con poco successo) di imporre una strategia di riduzione delle disparità sociali basata da un lato su una maggiore tassazione dei ricchi, dall’altro su una riforma del sistema sanitario che consentisse anche ai poveri di accedere alle cure mediche grazie alla disponibilità di polizze assicurative più a buon mercato e al contributo finanziario offerto dallo Stato alle famiglie più bisognose.
Il presidente è stato considerato per questo un «socialista» dai conservatori, mentre il nuovo sindaco di New York, Bill de Blasio, ha subito non poche critiche per il suo tentativo di garantire a tutti almeno due anni di asilo a carico del Comune (e quindi del contribuente). È stato accusato di populismo, ma non c’è dubbio che anche lui, come Obama, abbia individuato un problema cruciale, se si vuole davvero evitare che la parte più povera della società perda ulteriormente terreno. Un’esigenza che vari studi e analisi giornalistiche stanno cercando di dimostrare sulla base di quadri statistici convincenti sulla reale evoluzione del costo della vita.
L’analisi visivamente migliore è, forse, quella condotta dal Bureau of Labor Statistics e sintetizzata nel grafico, ripreso nei giorni dal New York Times da The Atlantic e da altri media americani. Ne viene fuori che negli ultimi dieci anni i prezzi dei televisori sono più che dimezzati mentre è crollato anche il prezzo di computer, telefoni e giocattoli. Più contenuto (-18%) il calo del costo di vestiario e autoveicoli. A fronte di questi risparmi, però, si è registrata l’esplosione del costo dei servizi a più alta intensità di lavoro: scuole e università (+40%), sanità, asili nido e assistenza all’infanzia (+15%). Le imprese digitali sostengono che basta un tablet per far emergere il figlio di una famiglia povera che ha un’intelligenza brillante. Eccezioni: la verità è che è difficile uscire dalla povertà senza cure mediche, sevizi sociali e scuole decenti.