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 2014  maggio 04 Domenica calendario

PENA DI MORTE LE REGOLE (E L’AMBIZIONE) DI OBAMA

Adesso, sull’onda per l’orrore dell’esecuzione di Clayton Lockett in Oklahoma (43 minuti di agonia prima della morte per infarto), Barack Obama ordina una revisione dei metodi utilizzati per eseguire le condanne a morte. E qualche giornale prova ad azzardare uno scenario da svolta storica: il presidente americano che fra due anni, alla fine del suo mandato alla Casa Bianca, rompe quello che fin qui è stato un bastione inattaccabile della mentalità americana in materia di giustizia, spingendo il Paese a rinunciare alle esecuzioni capitali. Possibile? Non lo si può escludere, anche se Obama fin qui ha sempre ribadito il suo sostegno alla pena di morte, limitandosi a cercare di restringerne l’uso ai casi più gravi. È stato, ad esempio, il suo ministro della Giustizia, Eric Holder (personalmente favorevole ad abolire le condanne capitali), a chiedere la pena di morte per Dzhokhar Tsarnaev, l’attentatore della maratona di Boston. Anche da senatore e negli anni in cui ha fatto politica in Illinois, Obama non si è mai opposto alla pena di morte. Più per realismo politico che per convinzione: nel suo libro autobiografico, The Audacity of Hope, ha, ad esempio, sostenuto che non c’è nulla che dimostri l’efficacia della pena di morte come deterrente per i criminali. Ma il presidente sa anche che un’ampia maggioranza degli americani è ancora favorevole ad eliminare fisicamente i colpevoli dei reati più efferati e, da politico, si è regolato di conseguenza. Cambierà rotta a fine mandato? Non lo si può escludere, anche perché 18 Stati hanno già rinunciato alle sentenze di morte, mentre l’orientamento dell’America sta lentamente cambiando (60 per cento di favorevoli alla pena capitale rispetto all’80 per cento di vent’anni fa). Il numero delle condanne eseguite (44 in media ogni anno dal 2006 ad oggi) è quasi la metà rispetto agli anni Novanta. E poi Obama è alla ricerca di atti di grande risonanza ai quali provare a legare la sua eredità politica alla fine di una presidenza che, da tempo bloccata dai veti repubblicani in Congresso, non ha al suo attivo interventi di ampio respiro, al di là di una contestatissima riforma sanitaria. Il Parlamento non è intervenuto nemmeno sulle armi da fuoco dopo le stragi nelle scuole né sulla regolarizzazione degli immigrati clandestini, nonostante l’impegno preso anche da molti repubblicani in questo senso. Ma è assai più verosimile che l’iniziativa di Obama non vada oltre il tentativo di evitare torture involontarie dei condannati per l’inadeguatezza dei cocktail velenosi iniettati. E non è nemmeno chiaro fin dove il presidente possa spingersi in un campo nel quale gli Stati sono sovrani. Già oggi è in vigore una specie di moratoria federale delle esecuzioni in attesa di avere risposte scientifiche rassicuranti sull’efficacia delle iniezioni letali. Molti Stati, però, la ignorano. Del resto ce ne sono otto che possono ancora ricorrere alla sedia elettrica in alternativa alle iniezioni. Tre Stati, poi, ammettono ancora la camera a gas, tre l’impiccagione e in due si potrebbe legalmente ricorrere al plotone di esecuzione.