Paolo Rastelli, Corriere della Sera 4/5/2014, 4 maggio 2014
DA POTEMKIN AI NAZISTI IL DESTINO DI UNA CITTÀ TRA RIVOLUZIONI E MASSACRI
La scena è talmente famosa che Brian De Palma, negli Intoccabili , l’ha rifatta quasi uguale, nonostante i tempi e i luoghi siano totalmente diversi: nel primo caso Odessa nel 1905, nel secondo la stazione di Chicago nel 1930. La carrozzina per bambini che scende la scalinata mentre intorno fischiano le pallottole è lo spezzone più celebrato della Corazzata Potemkin , il film che Sergej Ejzenstejn dedicò alla prima rivoluzione russa, quella fallita del 1905.
In realtà si tratta di un falso storico, perché il massacro dei rivoltosi da parte delle truppe zariste, ricorda l’enciclopedia online Wikipedia, avvenne in realtà nelle viuzze cittadine di Odessa e non di giorno ma di notte. Ma tant’è: la lunga rampa si chiama tuttora Scalinata Potemkin ed è un simbolo tanto del destino sanguinoso della città ucraina ora contesa tra lealisti e filorussi quanto dei duri scontri sociali che per due anni misero a rischio il potere dello zar e che furono studiati da Lenin come modello della rivoluzione riuscita del 1917.
Odessa fu solo uno dei focolai dell’incendio che all’inizio del secolo scorso divampò in Russia come conseguenza della sconfitta zarista nella guerra contro il Giappone. Tutto cominciò in realtà a San Pietroburgo, allora capitale dell’impero, il 22 gennaio del 1905, quando un grande corteo di almeno 200 mila persone guidato dal pope Gapon decise di recarsi al palazzo d’Inverno consegnare allo zar una petizione in cui si chiedeva una serie di riforme in senso democratico, tra cui l’elezione di un’assemblea costituente, la libertà di stampa e parola, l’introduzione di una tassa sul reddito e la distribuzione della terra ai contadini. La manifestazione fu attaccata dai soldati della Guardia e dai cosacchi: le fucilate e le cariche di cavalleria contro i cittadini pressoché inermi lasciarono sul terreno un migliaio di morti. L’incendio si estese a tutta la Russia, con scioperi, rivolte nelle campagne e saccheggi delle case signorili, scontri sanguinosi nelle città e con la formazione dei primi Soviet, i consigli degli operai, in molte città industriali.
La rivoluzione arrivò a Odessa il 26 giugno con uno sciopero e il 27 giugno con l’ammutinamento, per una questione di cibo avariato, dei marinai della Potemkin, una vecchia corazzata della flotta del Mar Nero. Furono incendiati i magazzini del porto e intervennero i cosacchi dello zar che fecero, anche in questo caso, centinaia di morti.
La rivoluzione, che per due anni insanguinò la Russia, si spense poi, spiega Eric Hobsbawm nell’Età degli Imperi , perché il governo di San Pietroburgo guidato dal primo ministro Piotr Stolypin decise di puntare sulla creazione di una classe di possidenti contadini come contrappeso all’ardore rivoluzionario degli operai, dividendo il fronte della protesta. Per qualche anno il sistema funzionò finché un’altra guerra sanguinosa, quella del 1914-18, fece da detonatore per una nuova rivoluzione, stavolta vittoriosa sotto la guida di Lenin ben deciso a non ripetere gli errori di dieci anni prima.
Quello del 1905 non fu purtroppo l’unico massacro che ebbe Odessa come teatro: la città del resto si trova nel mezzo di quelle che un fortunato libro di Timothy Snyder uscito nel 2010 ha definito le bloodlands , le terre di sangue, la striscia di Europa compresa più o meno tra Vistola e il Donetz che nel «secolo breve» ha visto la morte di milioni di persone. Odessa rappresentava la più grande comunità ebraica dell’Unione Sovietica, con 153.200 persone secondo il censimento del 1926. Perfino nel 1905-1906, quando la città divenne a tal punto un simbolo rivoluzionario da essere poi celebrata da Ejzenstejn, ci furono pogrom antiebraici con decine di morti ad opera delle organizzazioni controrivoluzionarie spalleggiate dai governanti locali.
Non stupisce quindi che durante la Seconda guerra mondiale la città sia stata uno dei luoghi dell’Olocausto. Non ad opera solo dei tedeschi, ma anche e soprattutto dell’esercito rumeno che il 16 ottobre 1941 occupò la città. Furono uccisi subito circa 8.000 ebrei, scelti tra gli intellettuali della città e quindi considerati potenzialmente pericolosi, secondo un criterio largamente seguito dai massacratori del ‘900, da Stalin in Polonia a Pol Pot in Cambogia. Poi il 22 ottobre un attentato partigiano fece saltare in aria il comando di una divisione rumena. Per rappresaglia furono impiccati 5.000 ebrei nella notte tra il 22 e il 23 ottobre. Poi, nei due giorni seguenti, ne vennero sterminati altri 35 mila circa a colpi di mitragliatrice. In pochi giorni gli 80 mila ebrei presenti in città al momento dell’ingresso delle truppe romene si ridussero a 30 mila, in gran parte poi uccisi nei mesi seguenti. I responsabili rumeni furono messi a morte da un tribunale del popolo nel 1945.