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 2014  maggio 04 Domenica calendario

LIBERATI GLI OSTAGGI OCCIDENTALI KIEV ANNUNCIA: L’OFFENSIVA CONTINUA


DAL NOSTRO INVIATO DONETSK — Lo sguardo stanco, ma saggio e pacifico, di Axel Schneider è l’unica nota di sollievo in un’altra giornata di guerra e di lutto nell’Ucraina dell’Est. Alle 13.30 quattro berline con i vetri oscurati accostano subito dopo il posto di blocco della polizia a Veterok, 15 chilometri da Donetsk. Scendono sette uomini in pantaloni di fustagno e magliette rimediate. Gli osservatori dell’Osce,(l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) catturati sabato 26 aprile dai miliziani filo russi a Sloviansk, sono liberi. «Abbiamo trascorso giornate e notti angoscianti, lo potete immaginare — dice il tedesco Schneider a nome di tutti — non siamo stati maltrattati». Poco più in là, dietro la siepe di telecamere, tre jeep bianche dell’Osce li aspettano. Guida il gruppo il segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjorn Jagland, che ha lavorato per il rilascio insieme con il delegato speciale di Mosca, Vladimir Lukin.
L’idillio di Veterok, la collaborazione Occidente-Russia, si dissolve appena la notizia diventa argomento di discussione tra il segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Commento di Kerry: «È un passo, ma ce ne sono molti altri da fare, la Russia ritiri il sostegno ai separatisti e appoggi lo sgombero degli edifici». Risposta di Lavrov: «È un atto di coraggio e di umanità, ora Washington deve esercitare la propria influenza su Kiev per fermare l’operazione militare nel Sudest dell’Ucraina».
D’accordo, neanche la soluzione del caso Osce sblocca lo stallo diplomatico. Intanto venticinque chilometri a nord di Veterok la guerra continua. L’esercito ucraino sta entrando nella cittadina di Kramatorsk: il tam tam della rete riferisce di combattimenti molto duri. Serve la verifica. Superato il posto di blocco della polizia, la strada sembra libera fino a Konstantinova. Dietro la curva più lunga si apre uno spiazzo, una specie di rotonda: fino a l’altro ieri qui c’era una barricata di pneumatici costruita dai separatisti. Ora niente, tutto liscio. Mancano solo dieci chilometri a Kramatorsk, ma ora si scorge all’orizzonte una linea nera, altre gomme e questa volta le bandiere della «Repubblica del Donbass». Dieci, forse quindici giovani con il passamontagna e la mimetica verde spianano il kalashnikov, oppure accarezzano la fondina d’istinto, come se controllassero il telefonino. Fermano tutte le auto e rimandano indietro i giornalisti: «La strada non è sicura, l’esercito ucraino sta sparando su tutti, anche sui civili disarmati». D’accordo, ma voi che fate qui? «Noi proteggiamo la nostra gente, non vogliamo far passare i fascisti di Kiev». Sono uomini del posto, assicura l’interprete, si capisce da come parlano. Nel caso specifico la definizione «fascisti di Kiev» indica i miliziani del «Pravi Sector», gli ultranazionalisti di destra che starebbero fiancheggiando i soldati nelle operazioni militari. In ogni caso, fine della discussione: grazie, una stretta di mano e dietrofront con la macchina.
«Non ci fermiamo, avanziamo a Kramatorsk», annuncia da Kiev il ministro dell’Interno Arsen Avakov su Facebook. Il conto dei morti e dei feriti: due vittime, secondo il governo regionale. Cinque, correggono fonti mediche. Dieci e tutti tra i civili, affermano i miliziani filo russi. La scia degli scontri scende da Sloviansk e si avvicina a Donetsk. Il punto di partenza, il fortino dei separatisti, è ancora in piedi: segno che l’armata ucraina si muove con grande difficoltà nei centri abitati. A Veterok, con la delegazione Osce, c’è anche l’oligarca Sergei Taruta, il governatore della Regione. Traffica con il telefonino nella sua super accessoriata Mercedes nera S600. A un metro due guardie del corpo con l’onnipresente Kalashnikov. C’è il tempo per un paio di domande: «Abbiamo davanti settimane difficili». Taruta è preoccupato per il referendum indipendentista fissato per domenica 11 maggio. E pensa che «Putin non stia bleffando». Il pensiero all’oligarca-governatore torna in serata, quando, un centinaio di miliziani pro-russi, irrompe nei suoi uffici, vuoti e non protetti nel centro di Donetsk, spaccando tutto.