Silvio Berlusconi, Corriere della Sera 4/5/2014, 4 maggio 2014
PRESIDENZIALISMO, LA VERA RIFORMA
Caro direttore, tra i paradossi di questa fase storica c’è anche quello di far passare per sabotatori delle riforme gli unici che possano rivendicare di averne fatta una. Una riforma di grande respiro, realizzata dal nostro governo nel 2005, che solo la consueta propaganda irresponsabile della sinistra ha tanto demonizzato da riuscire a bocciarla con il referendum del 2006. E poco conta che oggi tanti, proprio a sinistra, sussurrino che quella bocciatura fu un errore.
Il danno è stato fatto, e non è certo nostra la colpa.
Quella riforma nasceva dall’esperienza di governo maturata dal centrodestra sotto la mia guida, in cui avevamo colto il limite di un assetto istituzionale che impedisce ai governanti di governare. Da allora, si è discettato all’infinito di premierato e presidenzialismo, di passaggio ad una nuova Repubblica, di fase costituente, ma la sinistra ha sempre alzato un muro di gomma.
L’ascesa di Renzi alla presidenza del Consiglio, avvenuta in modo non democratico in quanto priva del passaggio elettorale, sembrava tuttavia aver aperto una nuova fase. Nell’incontro del Nazareno del 18 gennaio abbiamo appoggiato, senza riserve, l’idea di riaprire il cantiere delle riforme. Ma quello era un incontro politico, non un tavolo tecnico. Un’apertura di credito reciproca che, per quanto ci riguarda, sussiste ancora pienamente, sebbene sia difficile collaborare con qualcuno che ti dice che comunque deciderà anche senza di te.
Non possiamo, tuttavia, non sottolineare che da mesi ormai non si parla più di sindaco d’Italia, di premierato, di presidenzialismo. Queste riforme sono sparite. Nelle proposte avanzate dal Pd, il tema fondamentale dell’elezione diretta del presidente della Repubblica da parte dei cittadini è scomparso, mentre sono rimaste in agenda questioni certo importanti, ma pur sempre di contorno: le province, la legge elettorale, una riforma del Senato di cui si stenta a comprendere la filosofia di fondo.
Tutto ciò ha prodotto un esito sinora deludente: le riforme annunciate dal governo, anche a seguito dei soliti ricatti incrociati di partiti e fazioni, si sono già snaturate. La legge elettorale nell’esame parlamentare è diventata un pasticcio. Le province sono state fintamente e incostituzionalmente abolite per essere sostituite con le città metropolitane. Il risparmio per la collettività, in termini di costi e burocrazia, sarà irrisorio.
Il Senato progettato dal governo, infine, appare una combinazione casuale di volontà periferiche, cui si aggiunge la nomina di ventuno cittadini scelti per «decreto reale»: cosa che né la Regina d’Inghilterra, né il presidente degli Stati Uniti hanno il potere di fare. Insomma, stiamo dipingendo un quadro del tutto incompleto, in cui non si capisce come l’indirizzo politico si debba formare e, soprattutto, che ruolo giochino in esso i cittadini-elettori.
La causa di tutto ciò sta nel vizio di fondo della sinistra: la mancanza di coraggio riformatore, la paura del fuoco amico, l’ipocrisia delle apparenze che nasconde l’immobilismo.
Si preferisce lo status quo di un presidenzialismo strisciante piuttosto che un presidenzialismo costituzionale; un presidenzialismo di «periferia», basato sui sindaci eletti, piuttosto che uno vero basato sulla sovranità dei cittadini.
Queste contraddizioni stanno producendo una riforma senza capo né coda.
Sarebbe opportuno che il presidente del Consiglio tirasse fuori da sotto al tappeto il grande convitato di pietra che è l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Senza questo passaggio, l’intero progetto di riforme rischia di essere solo un castello di carte. Per impedire questo noi siamo pronti a dare tutto il contributo possibile.
L’Italia ha di fronte a sé un’occasione unica per avviare il percorso di riforme necessarie a rendere moderna la sua Costituzione: una delle ragioni, da sempre, del nostro impegno in politica.