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 2014  maggio 03 Sabato calendario

DIANA, LE LACRIME E UN FILO DI VOCE «IL MIO INCUBO LUNGO 26 ANNI»


DALLA NOSTRA INVIATA ROTTERDAM (Olanda) — Come se avesse visto un fantasma. Diana trema così tanto da non riuscire quasi a tenere fra le mani il giornale appena preso dalla cassetta della posta. Le trema anche il filo di voce che scova in fondo alla gola per implorare «vi prego, vi scongiuro, non voglio dire niente. La mia vita adesso è questa, lo capite? La mia famiglia, le mie figlie... Basta, per favore, non ne posso più di questa storia... voglio solo essere dimenticata, è stato 26 anni fa e mi ha rovinato l’esistenza. Ma io ero solo una ragazzina...».
Diana Beyer ha gli occhi spaventati di allora. Di quel 19 luglio 1988, quando aveva 17 anni e teneva stretta la mano di lui davanti alle telecamere, dopo la cattura in Tunisia. Lui era Filippo De Cristofaro, istruttore di danza, classe 1954, tipo allampanato alla ricerca continua del luogo e della vita perfetta. Quel 19 luglio fu arrestato assieme a lei per l’omicidio di Annarita Curina, una skipper di 34 anni stordita con un ansiolitico e poi massacrata a coltellate e colpi di machete.
A quei tempi erano innamorati, Filippo e Diana, ma i genitori di lei (che come loro è nata e cresciuta in Olanda) non volevano saperne di quel tizio che aveva quasi 17 anni più della loro figlia e una propensione evidente a cacciarsi nei guai. Eppure nessun consiglio valse a scoraggiare Diana. I due si misero a sognare una vita in Polinesia e un bel giorno, all’inizio di giugno del 1988, presero il largo con il catamarano Arx di Annarita.
La loro storia diventò per tutti «il delitto del catamarano» quando, il 28 di quello stesso mese, la rete a strascico di un peschereccio issò a bordo il cadavere della skipper. La fuga di Diana e Filippo finì, appunto, in un villaggio tunisino una ventina di giorni dopo e la giustizia presentò presto il conto: ergastolo per lui, sei anni e sei mesi per lei che già a marzo del 1990 ottenne la libertà vigilata e a dicembre del 1991 riuscì a tornare nella sua città, Rotterdam. Libera di ricominciare tutto daccapo. Approfittando di un permesso premio anche lui approdò in Olanda nel 2007, da fuggiasco, ma fu rintracciato e arrestato a Utrecht, vicino a casa della sua ex moglie (olandese) dalla quale ha avuto una figlia, Caroline.
Adesso che l’assassino del catamarano è in fuga per la seconda volta, gli occhi di chi lo sta cercando sono puntati di nuovo sui suoi possibili punti di riferimento nel Paese dei tulipani. Cercherà vecchi amici da queste parti? Proverà ad avvicinarsi a sua figlia? O magari tenterà di contattare Diana?
Lei scoppia a piangere soltanto a sentire il suo nome. Si scusa perché «non ce la faccio a parlare, davvero», dice che «capisco la situazione ma io mi sono rifatta una vita e ora voglio solo dimenticare quei giorni», ripete che «lui e quella storia mi hanno rovinato ma appartengono al passato», e che «adesso ci sono le mie tre figlie, di sette, 14 e 17 anni». Il loro padre, Lorenzo, greco, da cui Diana è separata, dice: «Ho saputo da poco del suo passato e mi ha sorpreso» e avverte «che quell’uomo non osi avvicinarsi». Le lacrime sono incontrollabili, gli occhi chiari di Diana planano inquieti sulle porte chiuse dei suoi vicini di casa che nulla sanno del delitto, dell’ansiolitico che lei versò nel caffè di Annarita, della coltellata data da lei prima che Filippo la colpisse col machete.
Stretta in una felpa scura, con i capelli biondi raccolti in un codino, in jeans e scarpe da tennis, questa donna di 43 anni ha l’aspetto di chi ha passato notti insonni in compagnia dei ricordi peggiori. «Ero solo una ragazzina» prova a dire a se stessa e al mondo. Ma è una giustificazione che non basta mai. Diana sale i gradini della scala ripidissima che porta a casa sua tremando così forte da aver quasi bisogno di aiuto per rimanere in piedi. Ogni domanda una tortura. «Vi prego, vi prego andate via». Paura che all’improvviso quell’uomo riappaia? «Sì, come vi ha già spiegato il mio avvocato». Alla sua avvocatessa italiana, Marina Magistrelli, aveva detto: «Rabbrividisco al solo pensiero di ritrovarmelo davanti perché mi fa ancora paura». Più di lui, che forse non la cercherà mai, è tornata nella sua mente mille e mille volte la memoria di quel che successe sul catamarano. Diana lo dice sfinita: «È da 26 anni che quel ricordo mi perseguita». Non basterà la vita intera per scrollarselo di dosso.