Andrea Giacobino, Avvenire 4/5/2014, 4 maggio 2014
I NODI DA SCIOGLIERE DELLA FIAT AMERICANA
La coincidenza è curiosa. Il prossimo 6 maggio a Detroit Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fca, acronimo di Fiat Chysler Automobiles, nuovo marchio che ha soppiantato il vecchio Fiat (Fabbrica Italiana Automobili Torino) spiegherà il futuro piano industriale del gruppo. Dallo stesso giorno in Italia saranno disponibili gli incentivi fiscali per chi compra un’auto ecologica. La dote stanziata dal governo Renzi è di circa 60 milioni di euro e ne beneficerà, in proporzione, anche Fca che produce quattroruote ’verdi’. Una ’mancetta’ per il gruppo munificato da tutti i governi, nessuno escluso, con fondi per la cassa integrazione e incentivi a pioggia.
Ma ora si volta pagina. Anche perché l’azienda è tutto, ormai, fuorché italiana. L’ultimo atto tricolore, infatti, si è consumato alla fine di marzo scorso quando a Torino si è svolta l’ultima assemblea di bilancio. La nuova sede legale di Fca è stata spostata in Olanda, quella fiscale in Gran Bretagna, prima dell’estate sarà varata la fusione tra Fiat e Chrysler e probabilmente in ottobre il nuovo gruppo debutterà sul listino americano di Wall Street, lasciando a Piazza Affari una quotazione simbolica. Perché si è arrivati a questo? La crisi del mercato europeo dell’auto, riflesso della crisi economica, da anni ha colpito le grandi case continentali di una malattia che rischiava di farle scomparire: la sovracapacità produttiva. Dai loro stabilimenti, cioé, uscivano più automobili di quante il mercato ne richiedeva. Marchionne è stato abile ad approfittare dell’altra crisi di uno storico marchio americano, Chrysler. Sotto il primo mandato di Barack Obama si è proposto, pur essendo uno dei più acciaccati produttori europei, come salvatore della Chrysler.
Con fondi pubblici e l’appoggio del sindacato dell’azienda Usa, coinvolto nell’azionariato, Marchionne ha vinto la scommessa e ha salvato insieme Fiat – almeno per ora – e certamente Chrysler unendo i loro destini e le piattaforme di produzione di quasi tutti i modelli dei due marchi. Entro il 2018 Fca, che oggi produce 4,5 milioni di vetture all’anno, ne farà 6 milioni. È la soglia minima della sopravvivenza secondo Marchionne, comunque ancora lontanissima dai 10 milioni di Toyota, primo produttore mondiale.
Quest’anno Fiat festeggia i 115 anni e Chrysler compirà 90 anni il prossimo. Ma la festa di compleanno delle due aziende che unite fanno oltre due secoli di storia sarà tutta al di là dell’Oceano. In Italia resteranno quattro stabilimenti, dove si produrranno suv e auto di lusso: sono impianti in perdita cronica mentre quelli di Chrysler macinano utili. Un po’ poco, anche per partecipare da lontani spettatori ai festeggiamenti. E dopo il nuovo piano di Marchionne, che due anni fa ha tolto la polpa delle macchine agricole del gruppo (Cnh) consegnandola alla Exor di Elkann, c’è da temere che per ciò che rimane di Fiat nel nostro Paese il peggio in termini occupazionali possa ancora arrivare. Perché mai un gruppo straniero dovrebbe tenere aperti stabilimenti che perdono?